Bangladesh: A queste persone ora manca tutto il necessario per affrontare la quotidianità e per ricostruire le proprie case

Intervista con Maria Teresa de Magalahaes che sta lavorando in Bangladesh con Medici Senza Frontiere per soccorrere le vittime e i sopravvissuti del ciclone Sidr.

 

In seguito al ciclone che ha colpito il Bangladesh lo scorso 15 novembre, MSF ha inviato personale medico, logistico e esperti in potabilizzazione delle acque in cinque dei distretti più colpiti nel sud del paese. A Mathbaria, nella parte meridionale del distretto di Pirojpu, le cliniche mobili stanno portando assistenza medica alle vittime del ciclone. Nella zona costiera, sulla punta del distretto di Patuakhali, la distribuzione di materiale d’aiuto, come contenitori d’acqua, coperte e utensili da cucina è continua. A causa della difficoltà di accesso alle isole situate sulla costa bengalese, alcune comunità hanno ricevuto poco o scarso aiuto fino ad ora.
Maria Teresa de Magalahes fa parte dell’equipe di emergenza inviata per valutare la situazione e identificare i villaggi bisognosi di assistenza nelle zone più remote del distretto di Barguna e Patuakhali.

 

Como avete deciso dove intervenire?
Innanzitutto ci siamo riuniti con le autorità locali di salute, poi abbiamo verificato le statistiche e le notizie e parlato con altre organizzazioni. A Berguna e Patukhali abbiamo visitato le cliniche mobili realizzate dal governo o da altre organizzazioni. In generale ora ci concentriamo sulle zone dove il ciclone ha colpito con maggiore forza. Personalmente ho visitato ospedali nel sud del distretto e ho cercato di raggiungere le aree più remote. Il mio lavoro consisteva principalmente nel cercare di raggiungere e identificare in maniera le persone ferite a causa del ciclone. La popolazione locale è stata una fonte preziosa di informazioni. Le notizie non ti dicono dove andare o dove ci cono stati i danni maggiori. Tutto le fonti devono indubbiamente essere consultate. Ieri, ad esempio ho visitato un luogo che pensavamo molto danneggiato e dove la distruzione maggiore era in realtà la perdita del raccolto.

 

Come avete deciso dove intervenire?
In questo momento alla popolazione manca di tutto: coperte, utensili per cucinare, vestiti, tutto il necessario per affrontare il quotidiano e ricostruire la propria casa. Da un giorno all’altro queste persone ha perso tutto. Quando il ciclone ha colpito il paese, c’è stata un’onda lunga al largo della costa. La popolazione stima che l’acqua ha raggiunto e superato i due metri in alcuni punti. Quando le acque si sono ritirate la corrente era molto forte e si è portata tutto via. Le persone hanno cercato di salvarsi salendo sugli alberi e molti hanno perso tutto.

 

Hai visitato i feriti negli ospedali: che bisogni medici hai osservato?
Ci sono molte infezioni respiratorie soprattutto nei bambini perché non hanno coperte e di notte fa molto freddo. Alcune persone sono ferita, altre hanno fratture o sono rimaste seriamente ferite ed ora sono ricoverate. Il governo ha fatto un buon lavoro da un punto di vista logistico. Due o tre giorni dopo il ciclone, le persone con ferite gravi alla testa o alla spina dorsale sono stati riferite agli ospedali. Adesso invece nella maggioranza dei casi la gente si ferisce perché cammina scalza tra i detriti o mentre cercano di sistemare le proprie case perché tutto è scivoloso.

 

La popolazione è stata avvertita dell’arrivo del ciclone?
Ci sono stati annunci: l’esercito, la radio e gli altoparlanti hanno informato la popolazione nei villaggi. Tuttavia l’allerta non ha raggiunto tutti i villaggi, soprattutto nelle zone più remote. Sono stati costruiti molti rifugi per proteggersi dal ciclone però alcuni villaggi sono molto isolati e i rifugi si trovavano lontano. In alcuni casi i rifugi erano troppo pieni e non erano in grado di ospitare tutti. Nella maggior parte dei luoghi la popolazione ha trovato rifugio in edifici governativi o nelle scuole.

 

Fino a dove è arrivata la distruzione nelle zone che hai valutato?
In alcune aree come Padna e Kachira, nel distretto di Barguna, e nei dintorni del distretto di Patharghata, sulla punta a sud est della costa, la distruzione è visibile. L’acqua si è portata via le case costruite con il legno o metallo e molta gente è scomparsa o morta. Ti rendi davvero conto della violenza dell’acqua. Nell’arco di tre chilometri ai bordi della strada 8mila persone sono state duramente colpite, però qui è dove la maggior parte delle agenzie umanitarie stanno lavorando ora. Nelle zone più remote l’aiuto non è arrivato alla popolazione, ed è lì che intendiamo concentrarci noi. In molti luoghi la gente ha perso ogni forma di sostentamento: reddito, terre, barche e reti da pesca.

 

È una sfida assistere la popolazione in questi villaggi così remoti?
Nella maggioranza dei casi non possiamo utilizzare le strade per raggiungere questi villaggi. Il minimo che può succedere è che sono danneggiate e per questo ci spostiamo a bordo di macchine e moto per raggiungere il fiume e poi imbarcazioni. Utilizziamo barche di pescatori per trasportare i kit e lance per andare da un’isola all’altra rapidamente. Non possiamo usare camion per portare gli aiuti e la distribuzione in barca prende il suo tempo. Ora stiamo svolgendo attività mediche con cliniche mobili nelle aree di Mathbaria e nel distretto di Pirojpur e stiamo distribuendo materiale d’aiuto a Galachipa e Patuakhali. Inoltre stiamo terminando le valutazioni per identificare le aree dove la popolazione ha ancora bisogno di assistenza e siamo pronti ad intervenire in caso di possibili epidemie.
 

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