A Banki non è rimasto niente

Nello stato di Borno, in Nigeria nord-orientale, è in corso una vera catastrofe sanitaria. Almeno 500.000 persone sono sfollate o isolate in enclave fuori dalla capitale Maiduguri e hanno urgente bisogno di cibo, cure mediche, acqua potabile e riparo.

L’area intorno a Banki, accessibile solo a scorte armate, attualmente sta accogliendo 15,000 persone, la maggior parte sfollate a causa del conflitto. Le equipe di MSF stimano tassi di mortalità decisamente alti: una persona su dodici sarebbe morta negli ultimi sei mesi, secondo una rapida valutazione condotta sulla popolazione locale. 

Queste sono le testimonianze di pazienti che abbiamo trasferito da Banki, città a 30 chilometri dal confine tra Nigeria e Cameroon, all’ospedale di Mora in Cameroon per ricevere cure mediche urgenti.

Sono gravemente malnutrite, hanno vissuto per mesi in una città fantasma, con due chili di cibo a settimana e poca acqua per bere, lavare, cucinare (ma solo di giorno perché di notte il fuoco avrebbe attirato l’attenzione dei gruppi armati). A Mora stanno riprendendo le loro forze e ci raccontano quello che hanno vissuto.

MAKA

 “Abbiamo ricevuto a malapena 2 kg di cibo a settimana… Tutti ne hanno avuta la stessa quantità, sia che fossi solo o avessi 10 figli”

A fine luglio, le équipe di MSF hanno trasferito Maka, una nonna nigeriana di 55 anni, dalla città di Banki in Nigeria all’ospedale di Mora in Cameroon per ricevere cure mediche urgenti.

Maka soffre di malnutrizione severa acuta, una condizione rara negli adulti e prova della grave crisi alimentare che la popolazione di Banki sta affrontando da quattro mesi. Era accompagnata dal nipotino di 5 anni e dalla nipote, che portava con sé il figlio di 11 mesi. Anche i due bambini soffrivano di una forma molto avanzata di malnutrizione e dovevano essere urgentemente ricoverati per ricevere trattamenti salva-vita.

Maka aveva perso il sorriso, parlava poco e il suo viso emaciato era privo di qualsiasi espressione. Dopo nove giorni di cure da parte delle équipe MSF, le condizioni di Maka sono iniziate a migliorare.

 “Sono originaria di un villaggio fuori Banki. I violenti attacchi ci hanno costretto a lasciare il villaggio, ma quattro mesi fa io e la mia famiglia siamo rimasti intrappolati a Banki, impossibilitati a lasciare la città. Ho perso traccia dei membri della mia famiglia. Per quattro mesi non abbiamo potuto lasciare la città, non potevamo fare niente.

La vita è diventata molto difficile. Ricevevamo a malapena due chili di cibo a settimana, e la maggior parte delle volte si trattava di riso o mais. Tutti ricevevano la stessa quantità, sia che si trattasse di una persona sola che di una famiglia con dieci figli. Dovevo razionare il cibo perché se avessi cucinato a sufficienza per saziare tutti, non ci sarebbe rimasto niente fino alla successiva consegna. Avevamo diritto a un secchio di acqua al giorno che non era abbastanza perché doveva servire a bere e lavare vestiti e stoviglie. Qualche volta, non ricevevamo nemmeno quella quantità. Riguardo alle cure mediche, a volte le autorità mandavano staff medico, ma non restavano a Banki per molto tempo.

Spero che i miei figli che sono ancora a Banki stiano almeno ricevendo la piccola quantità di cibo a cui hanno diritto. Ci era stato promesso. Ma quello che mi preoccupa di più è la mancanza di sicurezza”.

Oggi sul viso di Maka c’è il segno di un timido sorriso che riflette la sua gratitudine. Tuttavia, non può fare a meno di preoccuparsi per il futuro che aspetta lei e la sua famiglia.

“Sono felice che io e i miei figli possiamo rimetterci in salute qui a Mora. Quando staremo meglio, se riusciremo a lavorare abbastanza per sopravvivere, tornerò da mio marito a Banki. Ma ora non possiamo fare niente. Il mio desiderio è che i miei figli e la mia famiglia ancora a Banki possano raggiungermi qui in Cameroon. Abbiamo il necessario per cucinare, un po’ di cibo e stiamo lottando per sopravvivere in sicurezza. Ci piacerebbe anche restare nelle vicinanze dell’ospedale. Anche se la Nigeria è la nostra casa, là non siamo liberi e siamo troppo spaventati per tornarci”.

 

DAYO

 “A Banki non è rimasto niente”

Dayo, 31 anni, è stata trasferita da Banki, in Nigeria, all’ospedale di Mora, in Cameroon, dalle équipe di MSF. Ha accompagnato suo figlio di quattro anni malato, Barine. Il piccolo aveva urgente bisogno di essere ammesso in ospedale perché stava soffrendo di malnutrizione severa acuta.

Prima di arrivare a Mora, Dayo racconta di aver avuto così tanta fame che qualche volta le è sembrato di impazzire. “Quando qualcuno mi parlava, non riuscivo nemmeno a capire se si trattasse di una donna o di un uomo”.  Si è rifiutata di prendere i pochi farmaci che i medici nella zona le avevano prescritto dopo una visita. A stomaco vuoto, le compresse causano effetti collaterali insopportabili.

Nove giorni dopo il ricovero di Barine, le sue condizioni di salute sono migliorate in modo significativo, anche se non è ancora in grado di ingoiare le dosi di cibo terapeutico necessarie a trattare la sua malnutrizione. Sfortunatamente, due dei cinque bambini che MSF aveva trasferito insieme a Barine sono morti. Nonostante fossero stati ammessi in ospedale, le loro condizioni erano troppo gravi.

Come Barine e sua madre, oltre 15.000 sfollati nigeriani hanno vissuto per quasi cinque mesi in condizioni catastrofiche a Banki. Senza più alcuna attività, Banki ora sembra una città fantasma.

“Vengo da un villaggio a 15 chilometri da Banki. Un giorno sono arrivati uomini armati e ci hanno impedito di lavorare o metterci in viaggio. Erano violenti e ci hanno terrorizzato. Io, con mio marito e mio figlio, sono fuggita nella giungla, armata solo di machete e bastoni. È in quel momento che la fame ha iniziato a farsi sentire. Abbiamo cucinato miglio essiccato e fagioli. Cucinavamo solo di giorno perché di notte il fuoco avrebbe attirato l’attenzione delle persone da cui stavamo cercando di nasconderci.

Poi il nostro villaggio è stato bruciato. Nell’attacco ho perso mia madre, mio padre e mia suocera.

Siamo arrivati a Banki senza niente, nemmeno un piatto o una ciotola, avevo solo i miei vestiti in spalla. Non potevamo lasciare la città e non c’era niente da fare a parte aspettare la consegna dei rifornimenti, dai quali eravamo completamente dipendenti. Per fortuna, le autorità stanno distribuendo cibo alla popolazione, ma non è abbastanza. Ricevevamo a malapena due chili di riso o mais a settimana, a volte dovevano bastarci per due settimane.

In tutto il tempo che sono stata a Banki non ho mai visto il sapone. In più, dovevamo stare molti attenti con l’acqua visto che la poca che ci veniva data doveva servire per bere, per l’igiene e per lavare i vestiti.

Spaventati di tornare indietro

Anche se Banki è la mia casa, siamo troppo spaventati per tornare indietro. Ho sentito che solo in una notte sono stati rapiti tre bambini e due donne, insieme a tutto il loro cibo. Sono molto preoccupata per i miei figli là. So che mio fratello minore li sta cercando ma l’altro mio figlio è malato. Ogni volta che mangio in ospedale, penso alle persone che sono ancora là.

Voglio che tutta la mia famiglia mi raggiunga qui. Sarei felice di vivere con loro anche sotto a un albero pur di rimanere qui.  Non voglio tornare in Nigeria. A Banki non è rimasto niente”.

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