Covid-19 Siria nordoccidentale: correre dei rischi semplicemente per sopravvivere

Covid-19 Siria nordoccidentale: correre dei rischi semplicemente per sopravvivere

Da luglio, in Siria nordoccidentale i casi di COVID-19 continuano ad aumentare e il 6 novembre, per limitare il contagio, le autorità locali hanno imposto un lockdown limitato. Intanto il numero dei casi nel paese è arrivato a oltre 7.500.

Nei campi per sfollati, la gente deve adattarsi alla nuova situazione, sebbene debba ancora affrontare la crisi economica e i combattimenti non si siano fermati.

Prendersi cura di una famiglia di 15 persone tra paure e restrizioni per il Covid19

Kamal è l’unico a lavorare in una famiglia di 15 persone e per lui le ripercussioni economiche della pandemia sono più pericolose della pandemia stessa. Spesso, prima del Covid-19 e delle restrizioni, Kamal lavorava in cantieri edili e per quanto non fosse un lavoro stabile riusciva a mantenere la sua famiglia.

So che è pericoloso uscire di casa con il coronavirus ma non ho altra scelta. Per quanto il virus sia spaventoso, non posso permettere che la mia famiglia muoia di fame. Kamal Adwan, 25 anni abitante campo sfollati a nord-ovest della Siria

Oggi Kamal vive con i genitori e altri 12 familiari in due tende vicine nel campo di Abu Dali. Nel febbraio 2019, dopo che la provincia di Hama è stata bombardata, sono stati costretti a fuggire.

Quando abbiamo sentito parlare per la prima volta del coronavirus, credevamo fosse una diceria, o niente di più che un’influenza stagionale. Ora so che questo virus non è uno scherzo e ci colpisce direttamente. Kamalabitante campo sfollati a nord ovest della Siria

Molte delle 16.000 persone del campo di Abu Dali vivono in tende sovraffollate, a volte di soli sei metri quadrati, con gli altri membri della famiglia.

Siamo presenti in diversi campi della Siria nordoccidentale, è in azione per fornire assistenza sanitaria. Negli ultimi anni più di due milioni di persone sono state sfollate dalle proprie abitazioni e ora vivono nel governatorato di Idlib.

Nei campi sovraffollati, il rischio di trasmissione di COVID-19 è alto e l’autoisolamento è difficile, se non impossibile. Anche l’igiene delle mani è una sfida perché molti usano l’acqua dei serbatoi comuni.

Quando il prezzo delle mascherine è troppo alto

La situazione di Umm Firas, 39 anni, è molto simile. Lei deve pensare al sostentamento della famiglia dopo che, più di un anno fa, suo marito è rimasto gravemente ferito in un attacco aereo che ha colpito la loro casa, lasciandolo semi paralizzato e impossibilitato a lavorare.

Qualche mese fa, Umm Firas sosteneva suo marito e i loro nove figli rammendando i materassi, le lenzuola e le tende del campo ma ora deve far fronte anche al pericolo del contagio.

Non esco più per proteggere me e la mia famiglia ma a volte sono costretta per cercare lavoro. Ho sempre paura di prendere il virus e trasmetterlo ai miei figli, ma cos’altro posso fare? Umm Firas

Dei suoi nove figli, solo tre femmine andavano a scuola. Tutte le scuole in Siria nordoccidentale hanno adottato misure per ridurre i rischi di trasmissione: gli studenti devono indossare le mascherine, vendute dalle farmacie locali per una lira turca, prezzo non alla portata di tutti i genitori.

L’insegnante voleva che le mie figlie indossassero la mascherina ma cosa avrei dovuto dire? Riesco a malapena a comprare il pane. Umm Firas

Non potendosi permettere le mascherine, alcuni genitori hanno smesso di mandare i figli a scuola. In alcune scuole, gli insegnanti hanno cercato di trovare soluzioni alternative, ad esempio permettendo agli studenti di usare vecchi pezzi di stoffa per coprirsi il viso.

Ora, con il lockdown previsto per una settimana, tutti i luoghi di assembramento come mercati pubblici, università e scuole sono chiusi e sono aperti solo i piccoli negozi di alimentari, le farmacie e le cliniche locali.

50 famiglie condividono un unico serbatoio d’acqua e tre blocchi di servizi igienici

Anche Umm Ahmed, 40 anni, ha molte difficoltà. Originaria di Qalaat Al-Madiq, nella provincia di Hama, Umm Ahmed è fuggita con il marito e sette figli nel 2012 e ha trovato rifugio a Qah, nella provincia di Idlib, per due anni.

Nel 2014 si sono trasferiti da Qah a Deir Hassan, dove vivono ancora oggi. Vivono tutti insieme in un’unica tenda, compreso il marito, che è costretto a rimanere letto e non può lavorare.

Umm Ahmed era assistente igienista in uno degli ospedali nel distretto di Ad-Dana, nel nord-ovest della Siria, ed era l’unica fonte di sostentamento della famiglia, ma a causa di un’insufficienza renale è stata costretta a smettere qualche mese fa.

Nel campo in cui vive Umm Ahmed ci sono circa 50 famiglie, che condividono tutte un unico serbatoio d’acqua e tre blocchi di servizi igienici.

È impossibile lavarsi le mani regolarmente nel campo senza esporsi a rischi. Umm Ahmed

Con l’aggravarsi della loro situazione economica, Umm Ahmed non riesce a permettersi sapone e detergenti per proteggere sé stessa e la sua famiglia dal COVID-19.

Recentemente ha ricevuto un kit con sapone, detergenti e secchi dai nostri team che, da aprile, distribuiscono kit per l’igiene alle famiglie sfollate nel nord-ovest della Siria.

C’è ancora qualcosa che possiamo fare per evitare di prendere il virus. Esco il meno possibile ed evito di stare con altre persone così mantengo me e la mia famiglia al sicuro. Ma non posso vietare ai miei figli di giocare fuori con gli altri, sono piccoli, hanno bisogno di giocare e la nostra tenda è molto piccola. Capisco che sia un rischio, ma come posso fermarli? Umm Ahmed

Il costo della vita era già molto alto prima del lockdown e molti faticavano a sopravvivere

A inizio ottobre hanno chiuso mercati, moschee e scuole per alcuni giorni ma poco dopo sono stati riaperti. Molte persone lavorano in questi luoghi e non possono permettersi di rimanere senza lavoro per un periodo prolungato. Hassan Responsabile della logistica MSF

Dopo anni di conflitto, il sistema sanitario del nord-ovest della Siria si trova ad affrontare anche le difficoltà legate all’epidemia di COVID-19. Ci sono solo nove ospedali dedicati al COVID-19 per una popolazione di circa quattro milioni di persone, oltre a 36 centri di isolamento e di trattamento che forniscono cure essenziali a pazienti con sintomi lievi.

La provincia di Idlib è diventata come un’enorme prigione: le persone non possono spostarsi né a sud né a nord, sono bloccate qui nel mezzo. Pensano che a un certo punto il virus li colpirà insieme al resto della famiglia. Sperano solo di non ammalarsi tutti insieme perché il sistema sanitario non riuscirebbe a curare tutti i pazienti affetti da COVID-19 in una sola volta. Hassan Responsabile della logistica MSF

 

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