Darfur aumenta l insicurezza: MSF teme una catastrofe sanitaria.

 

Oggi, la ripresa dei combattimenti sta riducendo in maniera considerevole l’assistenza umanitaria, che resta tuttavia vitale per la popolazione: le famiglie che vivono nelle zone colpite dai combattimenti non ricevono alcun tipo di aiuto e si trovano in uno stato di pericolo immediato. Inoltre, l’insicurezza, presente ovunque in Darfur, minaccia l’assistenza fornita alla popolazione che ha trovato rifugio nei campi sfollati, ma anche quella alla popolazione residente, ai nomadi e a quanti vivono nelle zone controllate dai ribelli.

I responsabili delle operazioni di MSF in Darfur, Bruno Jochum e Denis Lemasson, spiegano le conseguenze operative e sanitarie dell’aumento dell’insicurezza.

L’aumento dell’insicurezza in Darfur ha delle conseguenze sulle operazioni di assistenza di MSF?


(Bruno Jochum)
Al momento la nostra azione di soccorso è estremamente limitata: non abbiamo accesso alle popolazioni che sono direttamente colpite dal conflitto, mentre aumenta l’insicurezza nelle zone dove lavoriamo, il che provoca riduzioni e sospensioni delle nostre attività, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa delle famiglie sfollate.

In generale, stiamo assistendo a una riduzione significativa degli aiuti forniti alla popolazione sfollata in Darfur, conseguenza di una serie di fattori, tra cui l’insicurezza. Parallelamente, è chiaro che oggi le popolazioni colpite direttamente dalla ripresa del conflitto, particolarmente nel nord del Darfur, non ricevono alcuna assistenza. L’insicurezza crescente rende impossibile qualunque valutazione indipendente dei bisogni di queste popolazioni, in particolare per quanto riguarda i feriti di guerra. Colpisce le popolazioni e gli operatori umanitari, e restringe in maniera drammatica il nostro spazio d’azione.

Da due mesi a questa parte, l’assenza di sicurezza sulle strade e la proliferazione degli attacchi di diversi livelli di violenza (dodici operatori umanitari sono stati assassinati nel corso degli ultimi mesi) rimette direttamente in causa l’aiuto portato a queste popolazioni prigioniere, mantenute volontariamente in una situazione di totale dipendenza. La sopravvivenza delle popolazioni nelle “isole di sicurezza” dove era ancora possibile portare gli aiuti è minacciata in diverse zone del Darfur. Una parte delle nostre operazioni sul terreno è oggi temporaneamente sospesa o portata avanti da equipe ridotte a causa dell’insicurezza. Un’altra conseguenza è che abbiamo dovuto sospendere tutte le nostre attività di clinica mobile, rivolte particolarmente alle popolazioni nomadi.


Quali sono le conseguenze per i nostri pazienti?


(Dr. Denis Lemasson)
La riduzione dello spazio di lavoro per gli operatori umanitari ha delle conseguenze immediate per i nostri pazienti, in particolare per quelli che hanno bisogno di assistenza chirurgica. Non siamo più in grado di trasferire queste persone in strutture sanitarie adeguate, poiché la mancanza di sicurezza rende le strade impercorribili. Alcuni pazienti muoiono perché non possono più essere trasferiti in ospedale.

Allo stesso tempo, la comunità internazionale ha ridotto i finanziamenti. Le restrizioni di budget di molte organizzazioni internazionali hanno colpito le distribuzioni di viveri, la fornitura di acqua potabile e gli aiuti agli ospedali. Lo stato di salute delle popolazioni sfollate in Darfur, che vivono in “isole” dove l’assistenza era fino a oggi possibile, è rimasta a un livello accettabile unicamente poiché il sistema di aiuti è stato in grado di funzionare regolarmente per gli ultimi due anni. Queste famiglie si trovano in una situazione di dipendenza totale poiché sono costrette a vivere in campi sfollati che sono diventate delle prigioni a cielo aperto, e sono al tempo stesso private di qualunque mezzo autonomo di sussistenza. Ogni diminuzione degli aiuti avrà delle ripercussioni immediate sul loro stato di salute, come hanno potuto constatare le nostre equipe a Mornay, dove la popolazione è stata colpita da un’epidemia di colera.

Tuttavia, è la crescente insicurezza ad avere le conseguenze più tragiche. Il 14 settembre, per esempio, il deteriorarsi della situazione nella zona del Jebel Marra ha provocato l’evacuazione della nostra equipe dal villaggio di Kutrum, dove erano già stati registrati 110 casi di colera. Se l’epidemia si diffonde, le persone malate non avranno la possibilità di essere curate. Per queste popolazioni private oggi di ogni assistenza, temiamo una catastrofe sanitaria.

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