Diario da Lampedusa

Mercoledì 13 aprile 2011

Come ogni giorno sono andata al centro “Loran”, una ex base NATO in una zona isolata di Lampedusa dove vengono trasferiti principalmente i migranti provenienti dalla Libia che per la stragrande maggioranza dei casi provengono dall’Africa sub sahariana.

Le donne le trovi sempre in piccoli gruppetti da tre, quattro. Hanno condiviso la terribile esperienza del viaggio e continuano a restare insieme all’interno del centro. In queste situazioni di estrema precarietà e incertezza, è importante appoggiarsi a qualcuno.

Riconosco tre nigeriane sbarcate qualche giorno addietro, inizio a parlare con loro e mi dicono di essere state quasi tre anni in Libia come donne delle pulizie presso certe persone. Una delle tre è più loquace e inizia a raccontare del terribile viaggio per raggiungere Tripoli: il deserto e poi l’arresto avvenuto alla frontiera meridionale della Libia.

Il marito faceva il muratore in Libia e aveva deciso di far partire prima lei. I padroni di casa presso cui lavorava la trattavano male e non la pagavano regolarmente. Diceva di sentirsi estremamente insicura in Libia e per questo aveva deciso di mandare sua figlia piccola in Ghana da alcuni parenti perché la facessero studiare. Sempre in Libia, ha anche avuto un parto gemellare ma dopo una settimana i piccoli sono morti.

Le tre lamentavano prolungata amenorrea, tipica di chi vive un forte stato di stress. Le ho accompagnate al poliambulatorio dell’isola per fare l’ecografia pelvica da cui non risultavano complicazioni particolari. Tuttavia la seconda donna del gruppetto era molto debilitata e scioccata e a malapena stava in piedi. La terza parlava poco ma non presentava problemi particolari.

Durante l’attesa nel poliambulatorio, avevano fame e sono andata a prendere della frutta e dell’acqua. Erano molto contente e dicevano che qui in Italia era diverso perché le facevano le visite mediche e le portavano del cibo. Un gesto così piccolo era sembrato così importante.

Dopo alcune ore sono state tutte portate via da Lampedusa in aereo.


Martedì 12 aprile 2011

Oggi non ci sono stati sbarchi e ho avuto più tempo per seguire le mie pazienti che si trovano nei centri. Con l’aiuto del mediatore culturale Mohammed, sono andata alla “Loran”, una ex base NATO trasformata in centro di ricezione per i migranti in seguito al grande afflusso delle ultime settimane. Lì ho incontrato tre donne etiopi che erano arrivate sabato scorso a bordo di un barcone proveniente dalla Libia, con quasi 250 persone.

Le tre avevano affrontato il viaggio insieme e si sostenevano l’una con l’altra. Una aveva una bambina di un anno e mezzo mentre l’altra, sui venti anni, era incinta di otto mesi. Vivevano in Libia da quasi due anni e lavoravano come donne delle pulizie. Negli ultimi mesi hanno detto che non venivano più pagate.

Mahabouba – “amata” in arabo – aspettava il primo figlio, e quando l’ho visitata, aveva già delle contrazioni e avendo fatto un viaggio di cinque giorni, seduta sempre nella stessa posizione, temevo per la sua gravidanza.

Il marito era già in Italia da qualche settimana e le aveva inviato i soldi per il viaggio, ma lei non aveva il suo numero di telefono, perché l’aveva chiamata da un telefono in cui non appariva il numero e quindi non sapeva bene dove si trovasse ora in Italia. Il solo contatto che Mahabouba aveva, era della sorella del marito che vive in Inghilterra.

La ginecologa del poliambulatorio di Lampedusa l’ha sottoposta ad ecografia pelvica trans-parietale. Dall’esame non risultavano problemi, ma, per evitare complicazioni nel parto, Mahabouba, è stata mandata all’ospedale “Cervello” di Palermo. Mahabouba era disperata perché non voleva andare sola a Palermo. Quando ho chiamato il reparto di ostetricia, mi hanno detto che stava bene e che stava facendo la fleboclisi anche se era sola e non parlava con nessuno.

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