Iraq: assistiamo le persone traumatizzate fuggite da Mosul

Iraq:

Il recente lancio dell’offensiva militare per riprendere Mosul ha costretto persone che avevano attraversato situazioni estremamente traumatiche a scappare dalla città e dai villaggi limitrofi. “Hanno subito due anni di occupazione della loro città e dei loro villaggi da parte del cosiddetto Stato Islamico (IS), attacchi aerei, forze irachene che combattevano l’IS. Sono fuggiti per salvarsi la vita e sono arrivati in un campo sfollati”, afferma Bilal Budair, responsabile del progetto di salute mentale MSF a Erbil. “Queste persone sono dovute scappare molto in fretta, senza portare nulla con sé. E adesso si ritrovano confinati in un campo.”

Circa 30.000 persone vivono in campi a Hassansham e Khazer, a 35 chilometri a est di Mosul. Le nostre équipe di salute mentale visitano circa 45 pazienti al giorno. Le équipe, che includono uno psichiatra, uno psicologo e un promotore della salute, lavoravano con i rifugiati siriani nel nord dell’Iraq già nel 2013. Dal 2014 hanno iniziato ad assistere sfollati iracheni fuggiti da Mosul quando l’IS ha preso il controllo della regione. Nel 2016, con l’aumento degli sfollati nel governatorato di Ninewa e l’inizio della battaglia di Mosul a metà ottobre, le nostre équipe hanno visto pazienti in condizioni anche peggiori.

Da novembre, i pazienti che consultano i nostri servizi sono decisamente più gravi. Molti ci raccontano che sono stati testimoni di esecuzioni pubbliche al mercato e hanno visto cadaveri impiccati e lasciati per giorni sui ponti sopra il fiume. Morti procurate per decapitazione, lapidazioni, torture e punizioni fisiche – una violenza tale da lasciare molte persone profondamente traumatizzate. 

Ascoltando il racconto di alcuni pazienti, i nostri psichiatri sono scioccati e trovano i loro racconti difficili da credere. Come il caso di un genitore costretto a uccidere il proprio figlio perché aveva detto una parolaccia. Ma i fatti sono inconfutabili quando diverse persone raccontano tutte la medesima storia. Gli psichiatri stanno vedendo anche pazienti che non avrebbero mai considerato la possibilità di andare da uno psichiatra, ma ora si trovano a chiedere aiuto.  

C’è anche un'altra causa di sofferenza tra le persone sfollate di recente: sono stati testimoni oculari dei combattimenti nei propri villaggi e quartieri, hanno visto morire amici e parenti. “Una donna è arrivata da noi con il figlio di 10 anni. La figlia di una sua amica è morta quando un colpo di mortaio ha colpito la loro casa. Lei e suo figlio hanno visto il cadavere della bambina, erano amici. Queste persone sono fuggite da Mosul o dai villaggi circostanti per trovare sicurezza nei campi. Ma sono ancora terrorizzate e vivono nella paura di dover subire ancora la violenza dello Stato Islamico.”

La nostra équipe di salute mentale nei campi a Hassansham e Khazer offre consultazioni a pazienti che soffrono di depressione grave, ansia, stress acuto o disordini da stress post-traumatico. Tra loro ci sono anche persone che soffrivano di malattie croniche, come epilessia e psicosi, prima che fossero costrette a fuggire e devono riprendere il trattamento. Oltre a questo, altre organizzazioni che forniscono cure mediche di base o supporto psicologico nei campi ci riferiscono di pazienti con disturbi del sonno o altri problemi che ostacolano la loro vita quotidiana.

“Trattiamo tutti i casi, dai più lievi ai più gravi” continua Bilal Budair. “Di fatto MSF è l’unica organizzazione a trattare casi gravi e fornire cure psichiatriche. Siamo qui per assistere le persone, identificare le più vulnerabili e aiutare chiunque stia avendo difficoltà ad adattarsi alla situazione.” Come questo uomo sulla cinquantina che vive nel campo di Khazer 1. Tutti i suoi negozi a Mosul sono stati distrutti. Ha detto: “Non riuscivo a entrare nella tenda. Ho pianto. Vorrei che venissero a uccidere me e tutta la mia famiglia. È come essere in prigione. Ci ho messo 20 anni a costruire la mia casa. Non c’è più niente. Non ho più niente. In tasca non ho nemmeno un dinar.”

Dopo diverse settimane, la maggior parte degli sfollati inizia ad abituarsi alla vita nei campi, ma altri continueranno a sviluppare disturbi più duraturi. Pensano che le loro vite siano finite e vogliono morire. Per questo dobbiamo intervenire rapidamente e offrire loro le cure di uno psicologo o di uno psichiatra.

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