A La Valletta l Europa non si lavi la coscienza

Si apre oggi a La Valletta un nuovo e atteso vertice sulla migrazione. A riunirsi sono i leader di Europa e Unione Africana, con l’obiettivo di siglare un piano d’azione per affrontare le cause degli spostamenti di persone, contrastare il traffico di migranti e collaborare ai processi di riammissione nei paesi di origine. Ma è difficile immaginare che il Summit porterà risultati positivi, migliorando le condizioni delle persone in fuga e le loro prospettive di futuro.

Il tramonto delle primavere arabe ha provocato un’ondata di violenze in Medio Oriente e Nord Africa. Sono ormai decine di migliaia i pazienti che Medici Senza Frontiere ha curato e assistito nei paesi di quest’area. Quattro anni di guerra in Siria, il ritorno degli scontri in Iraq, la situazione di caos e insicurezza in Libia, i conflitti ormai cronici in Somalia, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana (per citare solo i principali) hanno spinto milioni di persone ad abbandonare le proprie case e cercare riparo, in prevalenza all’interno della loro regione. La conseguenza è che quasi il 30% dei 60 milioni di persone in fuga nel mondo si trova in uno dei 35 paesi africani presenti al Summit, mentre solo il 3% ha trovato rifugio nei ben più agiati paesi dell’UE. A fronte di questa sproporzione, con quale credibilità l’Europa può chiedere proprio a quei 35 paesi di contenere le partenze di rifugiati e riaccogliere le persone respinte? Con che faccia, pochi giorni fa, ha incoraggiato la Turchia a costruire nuovi campi e sigillare le proprie frontiere, quando nella sola città di Istanbul si stima risiedano più siriani che in tutto il vecchio continente?

Invece di provare vergogna e promuovere strategie più serie, i leader europei hanno deciso di metter mano al portafogli per offrire incentivi ai governi pronti a collaborare alle operazioni di rimpatrio e alla chiusura delle proprie frontiere. Trasformare gli aiuti internazionali in strumenti per il controllo delle migrazioni contraddice gli stessi principi che l’Unione Europea si è impegnata a rispettare con l’articolo 208 del Trattato di Lisbona e la dichiarazione comune del “Consenso europeo sull’aiuto umanitario”. Gli aiuti dovrebbero servire a offrire assistenza alle persone più vulnerabili, in virtù unicamente dei loro bisogni e senza differenza per l’abito legale che indossano, di rifugiati o migranti economici. Non certo per finanziare misure di contenimento il cui unico obiettivo è impedire a queste stesse persone di trovare protezione in Europa.

Del resto, le conseguenze di queste misure ci sono ben note. Abbiamo visto in prima persona gli effetti dei precedenti accordi bilaterali siglati da paesi europei con partner della sponda nord del Mediterraneo. Abusi da parte delle forze di sicurezza e dei network di trafficanti, detenzioni prolungate in condizioni inaccettabili, criminalizzazione di richiedenti asilo e rifugiati, mancato accesso alle cure sanitarie di base. E’ una realtà da cui ancora oggi è difficile sfuggire: negli ultimi 4 mesi, il 92% delle persone che abbiamo soccorso in mare in una delle 2 nostre navi ha dichiarato di aver subito una qualche forma di violenza durante il transito in Libia. Molte delle persone che i nostri team medici curano in Sicilia ricordano il periodo in Libia come spesso più drammatico della stessa traversata in mare.

Per giustificare il tentativo di esternalizzare ai paesi terzi le proprie politiche restrittive sull’immigrazione, si fa spesso ricorso alla retorica della lotta agli scafisti. Senza ammettere che sono proprio queste politiche ad alimentare i fenomeni di sfruttamento. L’unica via per ridurre il potere dei trafficanti è renderli superflui, attraverso la creazione di passaggi legali e sicuri che consentano alle persone in fuga di raggiungere l’Europa senza mettere a rischio la loro vita.

Peccato che nella bozza di Piano d’Azione di La Valletta il solo riferimento a canali legali di migrazione e asilo offerti alle persone in fuga riguardi la ridicola quota di 22.000 reinsediamenti di siriani e di eritrei che gli stati europei si sono già impegnati alcuni mesi fa a considerare. Per ironia della sorte, si tratta all’incirca dello stesso numero di persone morte attraversando il Mediterraneo dal 2000 a oggi. Al netto di una concessione sul tema delle unificazioni familiari, tutte le altre disposizioni riguardano facilitazioni di visti Schengen per studenti, ricercatori, imprenditori e titolari di passaporto diplomatico, categorie che assai di rado si trovano a far uso dei barconi messi in mare da trafficanti senza scrupoli. Occorre altro per affermare che queste agevolazioni siano più utili a compiacere i leader dei paesi africani, convincendoli a collaborare nel rimpatrio di propri cittadini, piuttosto che a sottrarre mercato agli scafisti e a risolvere l’indicibile vergogna delle morti nel Mediterraneo? Invece di cercare collaborazione sulle attività di soccorso in mare, sarebbe ora di rendere finalmente inutili le operazioni di salvataggio consentendo alle persone di raggiungere l’Europa senza mettere a rischio la propria vita.

Il vero pericolo è che a La Valletta si consumi una cancellazione collettiva di tutte le ragioni che spingono le persone a mettersi in fuga verso l’Europa. Tra piani di rimpatrio e riammissione, rafforzamento delle frontiere e lotta agli scafisti, il dibattito torna a concentrarsi esclusivamente sulle fallimentari politiche di contenimento, che hanno come unico scopo quello di allontanare il problema dai nostri occhi e di rimuoverlo dai riflettori dei media. Quasi che far morire le persone nel deserto, invece che nel mar Mediterraneo, sia in qualche misura più accettabile. E che non esistano alternative umane al respingimento di queste persone verso paesi da cui fuggono o che non sono più in grado di accoglierle.

Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere Italia

(editoriale pubblicato su VITA.IT

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