Mediterraneo: “Quei dieci ragazzi uccisi dalle esalazioni, che rabbia”

Mediterraneo: “Quei dieci ragazzi uccisi dalle esalazioni, che rabbia”

Martedì la Geo Barents ha raggiunto una barca in difficoltà: 99 i migranti salvati, per gli altri non c’è stato nulla da fare.

L’ultimo ragazzo non voleva scendere. Restava lì. Sul barcone. Disperato. Guardava giù. Sotto c’era il fratello”. Fulvia Conte Coordinatrice SAR

Due nuove foto si sono aggiunte all’album degli orrori del Mediterraneo centrale. Nella prima c’è un gommone di salvataggio di Medici Senza Frontiere davanti a un barcone stracarico di migranti e quasi affondato.

Nella seconda i migranti non ci sono più e il barcone ha ripreso a galleggiare, sopra rimangono dieci corpi avvolti nei sacchi dei plastica. In mezzo c’è una ragazza con il caschetto rosso.

È la coordinatrice dei soccorsi, si chiama Fulvia Conte e ha 28 anni.

Tragedia nel Mediterraneo 10 morti

È finita nel Mediterraneo partendo da Esc, uno spazio sociale nel quartiere romano di San Lorenzo. Tra quelle mura ha partecipato alla creazione di Mediterranea. Dopo alcune missioni con la Ong italiana è salita a bordo della Ocean Viking di Sos Mediterranée e adesso naviga per la seconda volta sulla Geo Barents. Martedì pomeriggio ha vissuto il suo soccorso più drammatico, nelle acque internazionali a nord del tratto di costa tra Zuara e Sabratha.

La barca di legno era partita dalla Libia con 109 migranti.

Che significa chiudere dieci cadaveri nei sacchi di plastica?
Significa toccare con mano, in senso letterale, la morte. Sappiamo che la gente perde la vita nel tentativo di attraversare il mare, ma vederlo così da vicino è diverso… Si prova anche tanta rabbia.

Soprattutto di fronte a persone che sono morte chissà quante ore prima. È drammatico, ma a volte va perfino peggio: ci sono familiari che non sanno nulla di quello che è successo ai loro parenti, mentre altri hanno la certezza che sono affogati e che nessuno ha recuperato i corpi.

Chi erano le persone morte?
Ragazzi tra i 18 e i 24 anni. Provenienti dall’Africa subsahariana. Amici e familiari ci hanno raccontato che erano stati obbligati a sistemarsi nella parte inferiore della barca. Minacciati e costretti dai trafficanti. Non erano gli unici, anche altre persone si trovavano là con loro. Ma purtroppo quei dieci non ce l’hanno fatta. Sono morti per le esalazioni della benzina.

Come li avete trovati?
Durante il soccorso molti urlavano che c’era un doppio fondo e delle persone stavano sotto. Il nostro intervento è stato estremamente complesso perché la barca era molto instabile. Un fianco si abbassava sotto il livello dell’acqua e poi tornava a galla. La prua affondava e risaliva.

Diverse persone sono cadute in acqua. Abbiamo fatto tutto rapidamente e messo al sicuro 99 naufraghi. Moltissimi erano indeboliti dal viaggio e intossicati dai fumi del carburante. La comunicazione con loro è stata difficile.

Durante il secondo trasferimento verso la nave alcuni ragazzi ci hanno detto in francese: “Ci sono i morti sotto, ci sono i morti sotto”. Prima dell’ultimo viaggio dal barcone alla Geo Barents abbiamo vissuto una scena straziante.

L’ultimo ragazzo non voleva scendere. Restava lì. Sul barcone. Disperato. Guardava giù. Sotto c’era il fratello. E lui non voleva scendere. Gli ho detto:

Lo so che è difficile, ma adesso devi salutarlo. Perché sei ancora vivo e ti devi mettere in salvo. Vieni a bordo con noi”.

Alla fine la mediatrice culturale è riuscita a convincerlo, parlandogli in arabo.

** Intervista a cura di Giansandro Merli, pubblicata il 18.11.2021 su Il Manifesto

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