MSF e gli sfollati dell Ituri (RDC)

Nadia El-eid lavora come infermiera per Medici Senza Frontiere. È appena tornata da una missione di cinque settimane a Bunia, nella regione dell’Ituri, Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove si è occupata dell’organizzazione di una infrastruttura d’emergenza nel campo rifugiati di Tche e del coordinamento medico tra il campo e uno dei quartier generali di MSF in Svizzera. Profondamente turbata da ciò che ha visto in prima persona, in particolare dalle condizioni dei bambini nei campi rifugiati, Nadia ritiene che il racconto di chi è stato testimone oculare dei fatti sia un punto fondamentale del lavoro di MSF. “E’ nostro dovere nei confronti di questa gente parlare di questo conflitto e di ciò che abbiamo visto: in questo modo le persone non saranno dimenticate e noi otterremo i mezzi per fare i nostri interventi”.

Cosa sta facendo MSF per gli sfollati in Ituri?
Medici Senza Frontiere, a Bunia dall’aprile del 2003, è responsabile di un ospedale di 300 posti letto e due centri salute nei dintorni della città. MSF è gestisce il Programma di Salute per la Donna (che fornisce consulenza nell’ambito ginecologico e ostetrico e nei casi di violenza sessuale e di genere). Il programma si è andato progressivamente espandendo in tutta l’area.
Dal dicembre 2004, in seguito alla ripresa del conflitto tra le fazioni armate, decine di migliaia di sfollati hanno cercato protezione presso la Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUC). Le Nazioni Unite hanno organizzato undici campi all’interno e all’esterno delle zone di “sicurezza”, nei quali si sono finora radunate circa 80.000 persone.
A febbraio, MSF ha aperto tre cliniche per 30.000 persone e spera di aprirne una quarta per ulteriori 20.000 persone. Nei campi, MSF organizza visite, vaccinazioni contro il morbillo, controllo epidemiologico, in particolare su colera e scighellosi e ha inoltre allestito una unità traumatologica per le vittime della violenza sessuale. A Kakwa, MSF si occupa anche del sistema fognario del campo, quindi della fornitura di acqua, della costruzione di latrine e vengono effettuate azioni di sensibilizzazione sulle norme igieniche di base.

Raggiungere gli sfollati è spesso difficoltoso. Come sono organizzati i team di MSF?
La situazione nella zona in cui lavoriamo è molto instabile per cui spesso capita di fare molte ore di macchina prima di raggiungere i campi. Per riuscire a raggiungere le popolazioni isolate senza correre il rischio di trovarci coinvolti nel conflitto, i nostri principi di neutralità e di imparzialità devono essere molto chiari a chiunque. E’ importante che i gruppi armati sappiano chi siamo e come lavoriamo, in modo tale da non esser considerati operatori umanitari con affiliazioni militari.
La stagione delle piogge è problematica: a Tche, può far ritardare notevolmente il nostro arrivo ai campi quindi stiamo considerando la possibilità di restare nei campi qualche giorno anziché fare tutti i giorni avanti e indietro. Per realizzare ciò, bisogna garantire sia la sicurezza sia le condizioni di vita dei team, ma ad oggi non è stato possibile. Per raggiungere il campo di Kakwa bisogna prendere una piroga perché la strada è interrotta e pericolosa. Il grande afflusso di persone che si sono radunate nel campo di Kakwa rende necessario l’utilizzo dell’acqua del lago per coprire tutte le necessità igienico-sanitarie, e questo implica ovviamente un rischio considerevole di contrarre malattie.

Quali sono i più comuni problemi sanitari e i rischi più gravi per la salute degli sfollati?
I problemi principali sono la diarrea (30%), la malaria (15%) e le infezioni respiratorie (10%). Le epidemie di colera e di scighellosi (diarrea emorragica) comportano anche un grave rischio per la salute: entrambe le malattie si propagano rapidamente in aree densamente popolate come i campi profughi e possono causare molti decessi. Per quanto riguarda i bambini al di sotto dei cinque anni, c’è un alto tasso di mortalità causato dalla grande diffusione della diarrea che provoca stati di disidratazione grave.
In alcuni campi, la situazione sanitaria è particolarmente preoccupante perché la popolazione non può accedere a quantitativi adeguati di acqua potabile.

In che modo proteggete le persone più deboli da questi rischi?
Questa gente ha bisogno di un minimo giornaliero di venti litri di acqua potabile a persona. Questa fornitura d’acqua deve essere progressivamente aumentata. In più è necessario costruire le latrine, almeno una ogni venti persone, e gestire lo smaltimento dei rifiuti. Attualmente è in corso a Kakwa un programma di questo tipo. Abbiamo inoltre alcuni operatori sanitari sul posto che danno informazioni sull’igiene e che rinviano i casi di diarrea ai centri di salute dove possono essere curati. Per quanto riguarda colera e shigellosi, le attrezzature di emergenza sono pronte per essere trasportate in qualunque momento. Stiamo inoltre organizzando distribuzioni alimentari e monitorando i casi di malnutrizione tra i bambini. Nell’ultimo mese, gli sfollati arrivati nei diversi campi non hanno ricevuto cibo o beni di prima necessità (coperte, sapone, ecc.). MSF sta monitorando la situazione che si sta facendo estremamente preoccupante.

In che modo affrontate le emergenze relative alla violenza sessuale?
La violenza sessuale (Sexual Gender Based Violence) è diventata la normalità e continua a verificarsi perché chi la perpetra resta quasi sempre impunito. Dal luglio del 2003, MSF è responsabile a Bunia di un ampio programma di cura per le vittime di SGBV. Per il momento stiamo identificando i casi presenti nei campi per poi trasferirli all’ospedale di Bunia. A Tche stiamo facendo formazione sul personale che dovrà curare le donne che si sono sottoposte a una visita preliminare a Bunia.

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