Nadezda umiraet posledney (La speranza è l ultima a morire)

Mentre MSF sta trasferendo la gestione delle attività relative alla cura dell’HIV/AIDS in Ucraina, Alexander Thissen, ex membro del team, ricorda i 15 mesi trascorsi lì. MSF ha stabilito un modello di trattamento della malattia, a base di farmaci anti-retrovirali, nella città di Odessa e nella regione circostante. Ma mentre MSF se ne va, in Ucraina l’emergenza AIDS è solo all’inizio.

di Alexander Thissen, medico, ex membro del team di Odessa, Ucraina.

Arrivato nella città meridionale di Odessa, sono rimasto sconcertato nel vedere l’ennesima decappottabile tedesca ultimo modello guidata dall’ennesima bellissima bionda in pelliccia. “Che diavolo ci sta a fare qui MSF?”. Mi era sfuggito un paragrafo sui diritti degli animali nel documento di Chantilly? Ma poi ho cominciato a vedere bambini di strada, gente in bilico sui cassonetti della spazzatura, ubriachi sdraiati sui marciapiedi: indizi della situazione in cui versava il paese che mi avrebbe ospitato per 15 mesi.

All’incirca a metà degli anni novanta fu chiaro che l’epidemia mondiale di HIV non avrebbe risparmiato l’ex Unione Sovietica. L’epidemia si manifestò in modo particolarmente grave nelle città portuali del sud, come Odessa. L’Ucraina era appena tornata ad essere uno stato indipendente. Gli oligarchi avevano saccheggiato il paese in modo vergognoso e terre, fattorie, fabbriche e risorse naturali statali erano finite in mano ai privati.

Lentamente cominciai a capire che genere di denaro prendeva la strada delle prestigiose case automobilistiche del sud della Germania. Iniziai a vedere una miseria senza speranza, all’interno della quale la gente doveva costruirsi un futuro. Fuggire dalla realtà sniffando colla, iniettarsi droghe fatte in casa o vendere il proprio corpo non mi sembravano più cose tanto incredibili, come in passato.

Prevenire l’HIV

Alla fine dello scorso millennio, MSF ha avviato un piccolo progetto focalizzato sulla prevenzione dell’HIV. Ben presto l’ambito del progetto si è spostato verso il perfezionamento della cura e del trattamento dell’HIV/AIDS. Con misure relativamente semplici, si potevano aumentare sostanzialmente le probabilità di far nascere bambini sani da donne con l’HIV. Ma se non si curavano i genitori, quei bambini sani sarebbero finiti all’orfanotrofio. Per questo motivo MSF ha introdotto la terapia anti-retrovirale su piccola scala, prima di tutto per evitare che la gente morisse, ma anche per sviluppare un programma di trattamento, replicabile e accessibile, che potesse curare con successo la popolazione priva di mezzi in Ucraina e nella regione circostante.

Per anni un’equipe numerosa di MSF ha lavorato a Odessa, spostandosi anche in altre due città. Diversamente da molti altri progetti di MSF, qui la nostra attività doveva essere compatibile e integrarsi all’interno del sistema sanitario esistente. Nel corso degli anni si è instaurato un delicato rapporto di collaborazione, che andava continuamente alimentato, tra le autorità sanitarie locali e l’equipe di MSF. Un altro ruolo importante veniva svolto dai cosiddetti “consulenti parigrado” cioè persone, generalmente sieropositive, che cercano di aiutare i malati di HIV e i loro parenti sia sotto il profilo emotivo che sotto quello pratico. In seguito è stato permesso agli operatori di MSF di accedere alle cliniche di cura dell’HIV, alle strutture per le cure prenatali, ai centri di accoglienza per le donne incinte e agli orfanotrofi.

A tutt’oggi sia la popolazione che gli operatori sanitari hanno scarse conoscenze riguardo l’HIV. Un eminente medico specializzato nella tubercolosi ha accettato il nostro invito a visitare “l’ospedale” nel quale lavoravamo assieme ai colleghi del posto. Quando l’atmosfera si è fatta meno formale (senza la vodka) mi ha detto in confidenza “Come potremo mai fermare questa malattia se il virus si trasmette con un semplice bacio?”. Vorrei poter dire che si trattava di una persona stupida e ignorante ma certamente non lo era. Mentre gustavamo la corposa cucina ucraina, più di una persona mi ha chiesto se davvero credessi all’esistenza del virus dell’HIV.

Narkoman

In Ucraina l’epidemia di HIV ha cominciato a espandersi tra le persone che si iniettavano la droga. Si stima che il 74% (dato ufficiale) delle persone che hanno contratto il virus dieci anni fa si sia contagiato scambiandosi le siringhe. Quindi per molti ucraini l’HIV è la malattia dei drogati. E poiché ci vogliono dieci anni per sviluppare la malattia dal momento del contagio e i centri di cura dell’AIDS straripano di persone definite Narkoman (tossicodipendenti), questo pregiudizio continua ad essere alimentato. Il tossicodipendente sieropositivo che assume droga bucandosi è l’emarginato per antonomasia.

Quando, in un “ospedale” del posto, ho assistito per la prima volta al modo in cui venivano “trattati” i pazienti con l’HIV, sono rimasto sconvolto da ciò che vedevo, dai suoni, dagli odori. Più di qualsiasi altra cosa io volevo capire perché l’atteggiamento del personale medico nei confronti delle persone con l’HIV fosse spesso così freddo, accusatorio, impietoso. La scarsa conoscenza della malattia ha giocato un ruolo importante in questa vicenda, alimentando la paura e la stigmatizzazione che, a loro volta, hanno portato all’aggressività e all’emarginazione.

Ho sperimentato la difficoltà e a volte l’impossibilità di poter dare comprensione, speranza e una cura adeguata quando i pazienti per primi non hanno fiducia in te e preferiscono farsi consigliare dai vicini; quando non puoi dare al paziente il farmaco di cui ha bisogno se non può o vuole pagarlo; quando guadagni 100 dollari al mese e non riesci a tirare avanti, né tanto meno a sostenere la famiglia; quando vivi all’interno di un sistema corrotto in cui gli ordini hanno preso il posto di altre forme di comunicazione e nel quale, con ogni probabilità, il tuo superiore si è comprato il diploma.

Sesso non protetto

Oggi l’epidemia di HIV non riguarda solo i tossicodipendenti. I dati indicano che circa la metà delle persone che oggi sono infettate contraggono il virus attraverso rapporti sessuali non protetti. E queste persone sono sempre più giovani. Sono ottimista di natura, ma non posso fare a meno di constatare che ci sono tutte le avvisaglie di un disastro imminente.

La conclusione finale dell’equipe di MSF è che sia effettivamente possibile rallentare l’HIV in un paese con delle risorse limitate, ma ci vuole ben altro che qualche pillola in più. Alla fine dell’anno, dopo sei anni di attività, MSF si ritira, dopo essere stata di aiuto per centinaia di pazienti e per le loro famiglie. Tuttavia, solo un impegno a lungo termine può evitare il disastro che si sta preparando.

Ho avuto l’onore di conoscere molte persone che vivono e lavorano nelle situazioni descritte. Questo articolo è dedicato a tutti coloro che non si arrendono.

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