Nord Uganda: un popolo di sfollati che dipende dagli aiuti.

 

 

Dopo quasi vent’anni di conflitto tra il governo e l’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), circa il 90-95% della popolazione del nord dell’Uganda vive in campi sovraffollati, in alcuni casi a meno di un chilometro da casa. Un gran numero di persone dei distretti più colpiti – Kitgum, Gulu e Pader – dipende in grande misura da aiuti esterni per assistenza sanitaria, servizi idrici, fognari e cibo.

“Non dobbiamo dare per scontato che gli aiuti umanitari siano l’unica opzione nel nord dell’Uganda”, ha riferito Francois Delfosse, capo missione per i progetti di Medici Senza Frontiere (MSF) nel villaggio di Patongo, distretto di Pader. “La gente fa affidamento su aiuti esterni perché il governo non ha fatto fronte del tutto ai propri impegni”.

Negli ultimi mesi le condizioni di sicurezza sono lievemente migliorate per cui alcune persone si stanno spostando dai grandi campi di Kitgum, Gulu e Pader ai campi satelliti minori. La paura impedisce a queste persone di tornare alle loro case, che si sono comunque trasferite nei campi più piccoli nella speranza di poter coltivare i terreni circostanti.

In origine, il villaggio di Patongo era un centro commerciale con diverse migliaia di persone. Oggi uno dei campi ospita 35-40mila persone, molte delle quali sono sfollate dal 2001 a causa degli attacchi dei Karamajong, un gruppo di pastori seminomadi al centro di vari conflitti per furti di bestiame. Quasi tutti gli sfollati sono poi rimasti nel campo per il timore di attacchi da parte del LRA.

Medici, infermieri, ufficiali sanitari e infermieri ausiliari effettuano fino a mille visite a settimana in un centro sanitario gestito da MSF con il Ministero della Sanità ugandese, curando per lo più casi di malaria, affezioni respiratorie e diarrea. Recentemente è iniziata la stagione delle piogge, il che significa che con ogni probabilità vi sarà un forte aumento di casi di malaria.

Poiché il reparto degenti, costituito da quindici posti letto, non riusciva a soddisfare le richieste, il team ha costruito una seconda struttura con otto posti letto, con un reparto d’isolamento per pazienti affetti da diarrea sanguinante, meningite e morbillo.

Quando il team di MSF è arrivato qui per la prima volta, nel dicembre del 2004, molti pozzi erano contaminati e le pompe a mano per l’acqua erano insufficienti e quasi  tutte non funzionanti. Per prima cosa, MSF ha costruito un sistema idrico di emergenza e da allora ha scavato 10 pozzi con relative pompe che forniscono fino a 600mila litri di acqua al giorno. “Oggi siamo in grado di erogare 17 litri di acqua al giorno a persona”, spiega Delfosse. “Ma il nostro obiettivo è quello di arrivare a 20 litri”.

Quasi tutto il team è stato evacuato da Patongo nel novembre 2005, a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza, con violenti agguati ai danni dei civili e dei veicoli umanitari. Il team al completo è potuto ritornare solo all’inizio di gennaio 2006, ma nel frattempo sono stati forniti medicinali e rifornimenti agli operatori dello staff che vivono a Patongo e che hanno continuato a mandare avanti il progetto.

“Quando siamo ritornati nel gennaio 2006, la clinica era aperta e piena di pazienti”, racconta Delfosse. “Nei cinque giorni successivi all’evacuazione il livello di visite è calato drasticamente, ma è poi tornato ad aumentare attestandosi su livelli di attività normali. Nel lungo periodo sarebbe stato un impegno insostenibile, ma è stato bello vedere il livello di impegno e coinvolgimento dello staff che si è prodigato per tenere aperta la clinica”.

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