Sri Lanka: la popolazione è in condizione disperate

Dall’inizio di quest’anno i combattimenti tra l’esercito dello Sri Lanka e le Tigri Tamil (LTTE) si sono intensificati, con pesanti scontri in una zona della costa nord- orientale dell’isola. Circa 150 mila civili sono intrappolati in un’area di 20 km quadrati. Medici Senza Frontiere (MSF) fornisce cibo in 10 campi sfollati e opera nell’ospedale di Vavuniya. Due chirurghi di MSF lavorano nelle strutture ospedaliere già esistenti. Nel mese di marzo hanno eseguito quasi 800 interventi. La maggior parte delle persone assistite presentava ferite d’arma da fuoco e granate. Altri, presentavano vecchie ferite diventate infette per l’ impossibilità di raggiungere in tempi brevi un ospedale. L’ospedale di Vavuniya è sovraffollato. I pazienti sono costretti a dividere lo stesso letto o dormire sul pavimento. 

Annemarie Loof, 38 anni, olandese, coordinatrice di MSF in Sri Lanka, è appena rientrata dal paese.

 – In cosa consiste il lavoro di Medici Senza Frontiere in Sri Lanka?
Fino allo scorso settembre MSF operava nell’ospedale di Kilinochi, al centro dell’area di conflitto conosciuta come regione di Vanni. Eravamo impegnati nel fornire assistenza agli sfollati quando il governo ha annunciato l’espulsione di tutte le organizzazioni umanitarie dall’area. Ora due dei nostri chirurghi lavorano nell’ospedale di Vavuniya, 80 chilometri a sud dei combattimenti. Le nostre equipe stanno inoltre distribuendo cibo agli sfollati nei campi vicino a Vavuniya.

 – Come è cambiata la situazione?
Un anno fa ci siamo resi conto che la situazione era peggiorata. Dalla nostra base a Vavuniya, vicino al fronte meridionale, ogni mattina e ogni sera sentivamo gli spari e vedevamo anche l’artiglieria andare avanti e indietro. La situazione è cominciata a peggiorare in aprile e a maggio i fronti avanzavano. E la gente fuggiva verso nord, seguendo gli spostamenti del fronte. Questo è il motivo per cui le persone erano costrette a fuggire di continuo, a volte anche cinque o sei volte.

 – La popolazione riesce a fuggire sempre o è difficile?
Le persone che sono giunte lo scorso febbraio dalla regione di Vanni sono state portate dall’esercito: per tutto il giorno si vedevano autobus rossi dell’esercito andare avanti e indietro. Poi non si vedeva arrivare nessuno dalla regione per intere settimane. In seguito i pazienti ci hanno raccontato che non erano potuti fuggire perché le Tigri Tamil lo impedivano loro. Solo a metà marzo è arrivata nuovamente un’altra ondata di persone. Erano in completo stato di shock. Raccontavano di come erano restati nei bunker per settimane, cercando di salvarsi dalle bombe. Spesso avevano pericolosamente attraversato il fronte durante la notte, a gruppi, rischiando di essere uccisi.

 – Come vive la gente che ha trovato rifugio?
Circa 50 mila persone sono ora accampate in campi improvvisati all’interno e nei dintorni della città di Vavuniya. Provate ad immaginare: trenta persone ammassate in un’aula o un campo da cricket pieno di tende. I campi sono delimitati da due linee di filo spinato, ad una distanza di circa due metri l’una dall’altra. Le persone dentro e fuori dai campi si guardano cercando di trovare i rispettivi parenti. L’80 per cento della popolazione di Vavuniya è composta anche di Tamil che non vedono le proprie famiglie da anni. Peraltro, non ci sono liste con i nominativi di coloro che si trovano nei campi. Le persone non possono uscire e nemmeno avere contatti con il mondo esterno.

 – Quali storia ti hanno colpito di più?
Un giorno una donna mi si è avvicinata. I suoi figli erano in un collegio a Mannar, sulla costa occidentale, da due anni non parlava con loro e loro stessi non sapevano se la madre fosse ancora viva. Le ho dato il mio telefono cellulare perché potesse chiamarli. Non dimenticherò mai il suo sollievo dopo la telefonata ai figli. La storia più tragica che abbiamo sentito riguarda un ragazzo di 15 anni. Quando sono cominciati i bombardamenti, sei membri della sua famiglia furono uccisi sul colpo, mentre lui perse entrambe le braccia. Questo ragazzo ha chiesto ad un operatore di MSF: “forse voi avete nuove braccia da darmi?”

 – Come reagisce la gente quando la incontrate?
Ogni giorno le nostre equipe vanno nei campi: prepariamo e distribuiamo cibo, soprattutto ai bambini e alle donne incinte. Rappresentiamo una sorta di distrazione per molte persone, un momento di contatto umano. Le persone sono estremamente sconvolte e ci fanno molte domande: “Puoi aiutarmi? Sto cercando mio figlio. Sto cercando mio marito. Sai chi c’è negli altri campi?” Ho parlato con una donna con otto figli che era stata separata dal marito. Il figlio maggiore, di 17 anni e il più piccolo, di appena un mese, erano entrambi morti. Il figlio di 15 anni non riusciva più a parlare. Si avvicinavano, ci abbracciavano e cominciavano a piangere. Una paura profonda si è impadronita di loro.

 – La gente comune è quella che paga le conseguenze maggiori…
Le persone che vivono ancora nella zona di conflitto versano in condizioni disperate. Sono bloccati in un’area fatta solo di spiaggia e giungla. A marzo, ha piovuto per giorni: l’acqua arrivava fino alle ginocchia. Così è aumentata la possibilità di diffusione delle malattie. La cosa frustrante era non poter avere il permesso di fornire assistenza medica in queste zone. Capisco che si tratti di un conflitto “interno” che non è una priorità nell’agenda geo-politica internazionale e che è in atto da quasi 25 anni, ma questa guerra non è mai stata così terribile come ora. Il conflitto continua a discapito della vita dei civili. Nel frattempo, continuano ad atterrare aerei pieni di turisti: un giorno in aereo, mentre dall’Europa facevo ritorno nella capitale, Colombo, il pilota ha detto durante l’atterraggio ‘benvenuti in paradiso’.

Leggi la storia di due pazienti curati da un’equipe di MSF in Sri Lanka, pubblicata sul Corriere della sera on line >>

 

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