Sud Sudan due anni di conflitto

A dicembre di due anni fa scoppiava il conflitto in Sud Sudan e i combattimenti iniziati nella capitale Juba si diffondevano rapidamente in tutto il paese. Lo Stato più colpito dalle violenze è però quello di Unity – nel nord del Paese, al confine col Sudan – dove la popolazione civile vive in condizioni terribili, i tassi di malnutrizione sono allarmanti e la necessità di accesso alle cure mediche non è mai stata così urgente. In occasione di questo triste anniversario, Medici Senza Frontiere (MSF) chiede il rispetto della popolazione civile e un aumento urgente della risposta umanitaria internazionale.

Nello Stato di Unity, la popolazione civile è presa ripetutamente di mira e sottoposta a livelli estremi di violenza, tra cui stupri, rapimenti, estorsioni, saccheggi ed esecuzioni. I bisogni umanitari più urgenti sono l'assistenza alimentare e il supporto nutrizionale. Nel mese di novembre e dicembre, le cliniche mobili di MSF nelle Contee di Leer e Mayendit hanno riscontrato alti livelli di malnutrizione.

“A Thonyor, MSF ha esaminato 322 bambini di cui il 4,9% sono risultati gravemente malnutriti. La situazione è particolarmente preoccupante a Kak, dove il 5,6% dei 515 bambini sottoposti a screening sono gravemente malnutriti”, spiega Federica Nogarotto, direttore supporto alle operazioni di MSF Italia. “Questi bambini hanno urgente bisogno di cure mediche e nutrizionali costanti. Senza assistenza alimentare, loro e molti altri probabilmente non sopravvivranno”.

Nonostante gli elevati bisogni umanitari, nelle zone più colpite – nel sud dello Stato di Unity – non c'è stata una presenza costante e adeguata delle agenzie umanitarie. L’insicurezza costante ha costretto MSF e altre agenzie a evacuare più volte dalla Contea di Leer nel corso dell’anno. Vi è un urgente bisogno di una forte azione umanitaria nel sud dello Stato di Unity per questo MSF sta aumentando la propria risposta medica ed è attualmente l'unico attore umanitario con una presenza costante sul terreno.

Nel mese di aprile 2015, a seguito di una recrudescenza degli scontri, migliaia di civili sono stati costretti a fuggire nella boscaglia circostante, paludi o nel Centro per la Protezione dei Civili (PoC) delle Nazioni Unite a Bentiu. Oggi quasi 600.000 persone sono sfollate nello Stato di Unity. La popolazione del PoC di Bentiu è passata da circa 45.000 persone a maggio 2015, a circa 106.000 a novembre.
Nemmeno il personale e le strutture di MSF sono stati risparmiati dagli attacchi: sono cinque i membri dello staff di MSF uccisi quest’anno.  “La popolazione ha urgente bisogno di essere protetta, perché soffre immensamente a causa dei combattimenti di cui è vittima. Allo stesso modo chiediamo il rispetto delle strutture mediche e del personale sanitario”, aggiunge Federica Nogarotto.

Il Sud Sudan rappresenta oggi la più grande missione di MSF, con più di 2.900 persone di staff nazionale e più di 300 operatori internazionali che rispondono a una vasta gamma di emergenze mediche che vanno dal trattamento dei feriti di guerra e delle vittime di violenza, alla malnutrizione, alla malaria, al colera e al kala azar. MSF fornisce assistenza sanitaria gratuita e di alta qualità attraverso 18 progetti in sette dei 10 stati del paese e nella zona amministrativa speciale di Abyei.

Le voci dei pazienti

A Bentiu, una donna sulla cinquantina, fuggita da Leer:

“Il conflitto è scoppiato tra gruppi armati, ma sta colpendo la popolazione civile. Gli uomini armati rubano il bestiame e uccidono le persone. Stanno anche violentando donne e ragazze, che spesso vengono rapite. E dopo la violenza ti uccidono […]. Ogni volta che trovano qualcuno a Leer, lo uccidono. Bruciano le case. Non ci sono più mucche, niente cibo, niente. È per questo che siamo venuti al campo (PoC) a Bentiu. Le persone che sono ancora nelle paludi moriranno di fame”.

A Nyal, un giovane uomo fuggito da Leer:

“Gli sfollati nella boscaglia non hanno cibo. Tutte le scorte alimentari sono finite. Una donna disperata voleva andare al villaggio per cercare da mangiare. Sulla strada è stata violentata. Ora è paralizzata dalla paura ed è nascosta nella boscaglia. E’ troppo spaventata per muoversi di nuovo”.

A Leer, un uomo sulla trentina:

Da due anni temiamo per la nostra vita e viviamo nascosti nelle paludi. Lasciamo il villaggio alle 6 del mattino e ci nascondiamo nelle paludi fino alle 6 del pomeriggio. Stiamo tutto il tempo in acqua, anche fino al collo. Dobbiamo mettere i bambini sulle spalle, altrimenti annegano. Quando il sole tramonta, torniamo al nostro villaggio e troviamo le nostre case bruciate e saccheggiate. Non rimane nulla e ci mettiamo alla ricerca di cibo. Se siamo fortunati riusciamo a mangiare qualcosa”.

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