Flavia Presti

Flavia Presti

Finance Manager MSF
3,2,1…si parte!

Insomma ci siamo, inizia una nuova avventura.
La valigia non è assolutamente pronta: vestiti, cibo, medicine sono ancora tutti sparsi per casa e metterli dentro sembra l’impresa più difficile di sempre.

Perché?
Ok, facciamo un passo indietro, mi presento!
Sono Flavia e lavoro da circa 4 anni per Medici Senza Frontiere.

Medico?
No, non è proprio nelle mie corde.
E allora che fai?
Lavoro nella raccolta fondi!
Cioè? Chiedi soldi?

Si, più o meno. Io scrivo, racconto chi è Medici Senza Frontiere, parlo delle persone che lavorano per noi e quelle che riusciamo ad aiutare, parlo di tutto quello che facciamo grazie all’aiuto dei nostri sostenitori, esclusivamente grazie alle loro donazioni. E allora sì, a volte mi permetto anche di chiedere un sostegno alle persone a cui scrivo per poter realizzare tutti i nostri progetti.
Lo faccio nell’ufficio di Roma. Un lavoro bellissimo, che mi consente di conoscere tante persone, tante storie, di essere sempre ispirata e motivata, di avere una ragione per svegliarmi e andare in ufficio felice. Un lavoro che sono veramente contenta di fare!

Circa un anno fa, però, qualcosa è cambiato. Ho capito che avevo bisogno di qualcosa di più.
Continuavo a sentire le storie di chi tornava e chi partiva con il cuore che batteva forte, spesso con le lacrime agli occhi e, pian piano, ho capito che le ascoltavo con il desidero di viverle in prima persona.

Un desiderio custodito da tempo

Non è stato facile, ho faticato per ammetterlo prima a me stessa e poi agli altri e alla fine ho trovato il coraggio di dirlo a voce alta: “Voglio diventare un’operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere”.
E così ho cominciato il percorso di selezione, formazione, assegnazione che mi ha portato a prendere una pausa di circa un anno dall’ufficio e a salire domani su quell’aereo per la Repubblica Democratica del Congo, dove farò la Finance Manager a Masisi, un piccolo villaggio nel Nord Kivu.

Non esagero se dico che a 17 anni il mio desiderio era proprio quello di partire per Medici Senza Frontiere. Ma poi crescendo le cose cambiano. Gli amici, la famiglia, i genitori, il compagno… perché andarsene?
Se a questo si aggiunge anche la fortuna di avere un contratto a tempo indeterminato a meno di 30 anni proprio per MSF, perché mettere tutto questo in gioco? Perché andare a vivere in un Paese sconosciuto? Perché andare in un villaggio dove non esiste nessuno dei confort che sono scontati nella nostra quotidianità, a partire dalla doccia con acqua corrente? Perché decidere di iniziare di punto in bianco un nuovo lavoro? Perché andare in un paese di cui si conosce a malapena la lingua?

Purtroppo una risposta razionale non ce l’ho. La risposta è un sentimento, un’emozione, un istinto.
Sento dentro di me che devo partire, e a un certo punto questo desiderio è diventato così forte che ha superato qualsiasi dubbio, qualsiasi perché. Sento che devo partire e che per quanto ami la mia vita a Roma, questa non sarà mai completa senza aver visto cosa c’è dall’altra parte, senza aver dato il mio supporto concreto là, senza essermi messa io stessa in prima persona ad aiutare chi è stato meno fortunato di me, nascendo in un Paese piuttosto che in un altro. Sono motivazioni semplici ma sono reali. D’altronde cosa c’è di più reale della semplicità dei nostri istinti e sentimenti di essere umani?

Mai come in questi giorni mi sono sentita così “umana”.
Umana nella gioia sconfinata che provo per realizzare il sogno di una vita: sto per partire, sto per immergermi in Africa dans la brusse congolese, indossando la maglietta di Medici Senza Frontiere! Vedrò finalmente con i miei occhi come riusciamo a portare le nostre cure e i nostri interventi in oltre 70 paesi del mondo senza farci fermare da frontiere fisiche, politiche, culturali. Gioia di scoprire un nuovo mondo diverso dal mio, gioia di mettermi in gioco in prima persona.

Ma, appunto, sono umana e ammetto che ho anche paura. Paura per quello che lascerò da quest’altra parte del mondo. I miei affetti, le persone che sono sempre state con me non vivranno più nella mia quotidianità. La loro vita andrà avanti senza di me, la mia senza di loro e la sfida sarà nel trovare un punto di incontro, lo troveremo? Paura di non essere all’altezza delle aspettative. Paura di andare a creare ulteriori problemi in un contesto già complicato. Paura di aver fatto la scelta giusta. Paura di questo nuovo mondo, da cui sono così affascinata, ma così diverso dal mio.

Ho la speranza di riuscire a dare il massimo, con la consapevolezza che ci saranno anche momenti di rabbia, dolore e frustrazione perché per quanto potremo fare, non sarà mai abbastanza.
Sono emozionata per questo nuovo inizio, emozionata per quello che verrà.
Gli ultimi mesi prima di partire sono stati una vera corsa contro il tempo, per poter fare tutto: i vaccini, il corso di formazione, il corso di lingua, il passaggio di consegne per il lavoro, i saluti ai colleghi, ai nuovi amici, a quelli di sempre. I saluti alla famiglia, il saluto più difficile, quello al mio compagno.

Se all’inizio avevo anche la paura di essere sola, oggi so che non è così. Ho capito che questa non sarà solo la mia avventura: in Medici Senza Frontiere non si è mai soli. Siamo uniti, siamo tutti insieme, colleghi, soci, lettori, volontari, sostenitori, siamo una vera e propria famiglia, la famiglia MSF.

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