Marina Castellano

Marina Castellano

Infermiera MSF

Com’è difficile nascere in guerra

Marina Castellano

Marina Castellano

Infermiera MSF
Com’è difficile nascere in guerra

Sono tornata in Afghanistan, dopo esserci stata in missione altre volte in tanti anni di esperienza umanitaria. È un paese che mi porto nel cuore, uno di quelli che una volta conosciuti non dimentichi più. 

Lavoro come infermiera nell’ospedale materno infantile di Khost, dove ogni giorno assistiamo una media di 30/40 parti. Qui quotidianamente vedo cosa significa nascere in un contesto di guerra, in un contesto in cui scontri, attentati e combattimenti sono sempre di più all’ordine del giorno. 

In 18 anni di missioni umanitarie mi sono trovata a operare in contesti di guerra e molto spesso in ospedali in cui venivano trattati i feriti di un conflitto. C’è qualcosa che accomuna questi ospedali a quelli materno infantili: la presenza di bambini 

Marina Castellano a Khost

Da una parte sono vittime civili del conflitto, dall’altra sono simbolo di vita e speranza. Nel nostro ospedale assistiamo alla nascita di nuove vite ma spesso la guerra interferisce nella vita delle donne che devono partorire e dei loro bambini.  

Spesso capita che queste donne vivano in villaggi lontani dalla città dove ci sono combattimenti e nel momento del parto non possano accedere alle cure necessarie oppure non possano arrivare in ospedale in tempo perché la strada non è sicura o ancora vengano colpite durante il tragitto.  

L’ultimo drammatico parto risale a pochi giorni fa, quando si è verificato un incidente di sicurezza. 

Siamo stati svegliati al mattino presto verso le 5.30 da un attacco sulla città. Ci siamo rifugiati all’interno della camera blindata del compound dove viviamo e lo stesso è stato fatto da staff e pazienti all’interno dell’ospedale.  

Poco prima che iniziasse l’attacco era stata ammessa una donna al termine della gravidanza con un’emorragia in corso. Alla prima visita il bambino è purtroppo risultato morto ma lei doveva assolutamente subire un taglio cesareo per fermare l’emorragia 

La dottoressa Ziya, ginecologa dello staff nazionale, si trovava nella camera blindata dell’ospedale con la paziente. Tramite radio e telefono ha iniziato a chiederci l’autorizzazione per andare in sala operatoria che non è stato possibile accordare dal momento che gli spari non accennavo a fermarsi. Gli attacchi erano troppo vicini e i rischi troppo alti.  

La dottoressa insieme con l’anestetista, allora, hanno deciso di creare una sala operatoria all’interno della stanza blindata dove hanno effettuato il taglio cesareo. Avremmo perso la paziente se le colleghe non fossero intervenute tempestivamente. La loro professionalità, coraggio e determinazione hanno salvato la vita di questa donna.  

Noi abbiamo seguito tutta l’operazione attraverso i messaggi che ci arrivavano via telefono e radio. È stato un momento davvero emozionante. 

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