In Ciad, dove il fiume non porta acqua ma malattie mortali come l’epatite E

Ciad: Epidemia di epatite E chiediamo aiuto per fermarla

La testimoninza di Sara Creta, responsabile comunicazione di MSF in Ciad:

“Nell’angolo orientale del Ciad si trova la città di Am Timan, capitale della regione del Salamat. Il confine con il Sudan è a centinaia di chilometri e il fiume Bahr Azoum, che nasce dal Jabal Marra, uno stratovulcano situato nel Darfur, attraversa tutta la regione fino all’estremo punto meridionale del Ciad, al confine con la Repubblica Centrafricana. Il letto del fiume è segnato dalla stagione secca, che dura sette mesi l’anno, e la terra color ocra, completamente erosa e mossa dal vento, si sposta creando dune di sabbia fine. Alcune donne lavano i loro teli colorati nella grossa pozzanghera d’acqua che non si è ancora prosciugata e gruppi di ragazzi giocano a pallone sulla sabbia. Un via vai continuo di persone affolla il letto del fiume. Le taniche gialle costeggiano il pozzo e un gruppo di asini è in attesa di ripartire carico di altri recipienti d’acqua.

In queste zone, per la mancanza di acqua potabile, la popolazione deve prelevare l’acqua da fonti contaminate da batteri, escrementi, insetti e scarafaggi. Le scarse condizioni igieniche sono un terreno fertile per la diffusione di malattie trasmesse attraverso l’acqua, come l’epatite E.

Da inizio settembre, quando ad Am Timan sono comparsi i primi casi, un’équipe di MSF specializzata nelle urgenze ha avviato un intervento per contenere l’epidemia. Medici, infermieri, logisti, esperti in potabilizzazione dell’acqua, epidemiologi e operatori comunitari percorrono le strade per individuare casi sospetti e sensibilizzare le persone su come evitare il contagio – lavarsi le mani col sapone, a quali pozzi rifornirsi – mentre i team di logisti disinfettano con il cloro le vasche di acqua nei punti di distribuzione e le torri idriche della città.

Fermare la diffusione dell’epatite è uno degli obiettivi del programma di MSF, che mira a potabilizzare l’acqua di tutte le pompe a mano e dei punti d’acqua dei quartieri di Am Timan, per un totale di oltre 10 milioni di litri ogni settimana. A inizio dicembre, il team di MSF ha costruito anche un nuovo pozzo sul letto del fiume, dove vengono erogati gratuitamente più di 400.000 litri di acqua potabile a settimana. Così gli abitanti del quartiere non devono più scavare nella secca del fiume per cercare l’acqua e dai villaggi vicini, distanti ore di cammino, arrivano donne e bambini per riempire taniche da riportare nelle loro case.

Nonostante questo intervento d’emergenza, ogni settimana contiamo 60 nuovi casi sospetti e le forze messe in campo non bastano più. Persone con i sintomi dell’epatite arrivano in ospedale ogni giorno, anche da villaggi limitrofi dove l’accesso all’acqua rimane ancora scarso. In ospedale, i pazienti vengono isolati per prevenire il contagio e curiamo i sintomi per ridurre le sofferenze.

Anche un ginecologo è entrato nel team di MSF all’ospedale di Am Timan. Le conseguenze dell’epatite per una donna in gravidanza sono molto gravi: contrarre il virus può comportare la perdita del bambino che si ha in grembo, con un aborto spontaneo o la morte in utero. È successo a Zakya, una giovane mamma di soli 20 anni. Quando è arrivata in ospedale, incinta di nove mesi, non sentiva più il movimento del suo bambino. Zakya ha perso il suo secondo figlio a causa dell’epatite, ma l’equipe medica è riuscita a salvare lei.

Mentre tramonta il sole e il rumore dei generatori accompagna la chiamata alla preghiera che risuona tra le strade di sabbia della città, Hapsita, 30 anni, ritorna nella sua casa nel quartiere di Ridina, a qualche chilometro dall’ospedale regionale. Nel suo secondo trimestre di gravidanza è tornata per una visita di controllo. Il suo bambino è vivo, il battito è regolare e le sue condizioni fisiche sono migliorate notevolmente. Hapsita, rifugiata della Repubblica Centrafricana, era stata ricoverata perché positiva all’epatite E. Oggi è tornata a casa, ma deve sottoporsi a esami periodici per confermare che la gravidanza procede bene.

Hapsita, Zakya, Miriam, Fatima, Fadja, Achta e Khadija sono sopravvisute, sono ritornate nei loro vilaggi e nelle loro comunità, e oggi sono ambasciatrici delle buone pratiche d’igiene che possono limitare il propagarsi del virus.Ma la loro parola e lo sforzo di MSF non basta. Serve con urgenza un intervento più consistente, soprattutto nell’ambito dell’acqua e dell’igiene. Senza un immediato aumento degli aiuti da parte di altre organizzazioni e del governo del Ciad, MSF da sola non è in grado di contenere questa epidemia.”

Condividi con un amico