Cittadini stranieri e rischi per la salute pubblica: un allarme ingiustificato senza alcuna evidenza scientifica

Come periodicamente accade, con il riacuirsi del fenomeno sbarchi durante la bella stagione, e a seguito della necessità di distribuire le persone in arrivo in strutture di accoglienza su tutto il territorio italiano, è riemerso anche il tema del presunto rischio sanitario rappresentato dall’arrivo di numeri così elevati di persone, che rappresenterebbero, a detta di molti, un veicolo d’ingresso delle più disparate malattie, dalla tubercolosi all’Ebola passando per la scabbia. 

Recentemente, per iniziativa del sindaco di Alassio è stata resa obbligatoria l’esibizione di un certificato che attesti la negatività da malattie infettive e trasmissibili da parte di stranieri (provenienti da non meglio specificati paesi africani, asiatici e sudamericani) privi di fissa dimora, pena il divieto di transitare sul territorio del comune. L’ordinanza menziona in particolare tubercolosi, HIV, Ebola e scabbia quale esempio del rischio sanitario rappresentato dalla presenza di cittadini stranieri nel Comune.

Di concerto con altre associazioni, Medici Senza Frontiere ha sottoscritto una segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) in merito a questa ordinanza.

Senza voler entrare nel merito del caso specifico, vogliamo cogliere questa occasione per reiterare concetti su cui l’organizzazione è tornata più volte, nel corso degli oltre 10 anni di attività sanitarie svolte in Italia a favore della popolazione immigrata, e sui quali urge ancora una volta fare chiarezza.

In primo luogo, preme ribadire che, nonostante i toni catastrofici che accompagnano molti comunicati e dichiarazioni pubbliche estemporanee, la presenza sul territorio di popolazioni migranti non rappresenta in alcun modo un’emergenza sanitaria. Il Ministero della Salute, di concerto con gli altri attori implicati, ha predisposto già dal 2011, una serie di misure di sorveglianza sanitaria, messe in atto allo sbarco e nei centri di accoglienza, volte proprio a tutelare la salute pubblica, oltre che quella del migrante stesso. L’analisi dei dati di sorveglianza sanitaria raccolti dal 2011, non ha evidenziato alcun elemento che deponga per un’emergenza sanitaria: solo in 20 casi le segnalazioni hanno prodotto un allarme, che si è rapidamente esaurito nelle ore successive.

Riguardo alla Tubercolosi, menzionata nell’ordinanza, dall’analisi dei dati raccolti nel corso delle attività cliniche condotte da MSF nel CPSA di Pozzallo, risulta che su oltre 7.200 arrivi ci sono stati 24 casi sospetti per Tubercolosi, di cui solo 3 confermati. E’ innegabile invece che il “peso” rappresentato dagli immigrati sui numeri annuali di nuovi casi diagnosticati a livello nazionale sia in aumento. Sugli oltre 4000 casi notificati nel 2008, più del 50% riguardava cittadini nati all’estero (dati ISS). Tuttavia, le ragioni di questa evidenza sono complesse (Rapporto Min. Salute 2008) . Chi conosce la patogenesi della malattia sa quanto dipenda dalle condizioni abitative e di vita. Gli stranieri che provengono da paesi ad alta incidenza possono aver acquisito l’infezione prima di partire ma non hanno come destino ineluttabile quello di ammalarsi e diventare contagiosi: ricordiamo, infatti, che solo il 10% delle persone che acquisiscono l’infezione sviluppa in seguito la malattia tubercolare diventando contagioso per altri. Nel caso della popolazione immigrata, il rischio di riattivazione dell’infezione una volta a destinazione è più elevato a causa di una serie di fattori: le condizioni di vita (denutrizione o cattiva nutrizione, scarsa igiene), di lavoro e di alloggio (permanenza in luoghi chiusi, sovraffollati e scarsamente arieggiati e illuminati). Non a caso l’incidenza della malattia al momento dell’arrivo in Italia (agli sbarchi per esempio) è molto bassa e tende ad aumentare dopo alcuni anni di permanenza in Italia.

Sull’HIV (altra patologia citata nell’ordinanza), è ridondante ricordare che non si tratta di una malattia a trasmissione aerea né ad alta contagiosità, richiedendo per il contagio la trasmissione sessuale o ematica. Anche qualora si ipotizzi un prevalenza particolarmente elevata dell’infezione tra i migranti di recente arrivo (cosa tutta da dimostrare), essa non rappresenta una minaccia per la popolazione residente, in quanto per la trasmissione si richiederebbe un contatto sessuale o ematico (per prevenire il quale, peraltro, sono ovunque disponibili validi e semplici strumenti protettivi). Vale anche la pena ricordare che l’infezione da HIV in Italia è tuttora presente nella popolazione residente, nonostante se ne parli sempre meno. Sebbene a tassi di prevalenza molto bassi, il virus continua a circolare a causa di comportamenti individuali a rischio che sono gli stessi in tutte le aree del mondo e che faticano ad essere sradicati.

Venendo invece all’Ebola, si è molto dibattuto nell’anno trascorso, sul rischio che la malattia approdasse in Italia attraverso i migranti. Due sono gli elementi che rendono questa evenienza molto improbabile: le caratteristiche patogenetiche della malattia e il percorso migratorio di chi giunge in Italia via mare. Il virus Ebola è estremamente letale e nella più parte dei casi provoca malattia sintomatica e poi morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione. Questo vanifica la possibilità che una persona infettata si avventuri nel viaggio che dovrebbe condurlo in Italia. In secondo luogo, si deve tener conto del fatto che generalmente i viaggi migratori hanno la durata di mesi, spesso anni, mentre il periodo massimo di incubazione è di 21 giorni. Nel corso di questo tempo, l’infezione avrebbe quindi abbondantemente concluso la sua evoluzione, conducendo o al decesso o alla sopravvivenza (e guarigione) della persona colpita.

L’attuale epidemia dei paesi dell’Africa occidentale fatica, purtroppo, a concludersi. Sebbene sotto controllo, casi sporadici continuano ad essere segnalati nei tre paesi colpiti . Tuttavia, anche nell’ipotesi remota che un individuo infetto sbarchi in Italia, si deve ricordare come le modalità di contagio richiedano il contatto con i liquidi biologici della persona per provocare l’infezione, e non la semplice permanenza sulla stessa barca o sullo stesso autobus. Nel nostro paese, un eventuale caso sarebbe rapidamente identificato come sospetto e posto in isolamento ospedaliero,  precauzione questa più che sufficiente a evitare il rischio dello sviluppo di un’epidemia in Italia. Nei fatti, dall’inizio dell’epidemia in Africa occidentale, i soli casi di Ebola notificati nel nostro paese sono stati quelli di operatori umanitari infettatisi nel corso delle loro missioni sul terreno e evacuati in Italia per ricevere le cure necessarie (esitate peraltro nella guarigione completa).

Viene infine citata la scabbia. Si tratta di una malattia di così banale riscontro che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità fatica a fornire stime precise della sua incidenza. Si tratta di una malattia globale, diffusa in ogni paese di ogni continente (compreso il nostro), e mantenuta in vita da condizioni di vita precarie e dalla scarsa igiene. E’ tipica di fasce sociali svantaggiate, di individui senza fissa dimora, di persone con grave disabilità psichiatriche e di comunità chiuse, proprio perché la scarsa igiene personale e il sovraffollamento abitativo sono i primi fattori di rischio per il contagio.Il fatto che spesso i migranti allo sbarco presentino queste patologie è semplicemente dovuto alle condizioni abitative e di vita che hanno conosciuto prima della partenza dal nord Africa (dove spesso vengono detenuti o ammassati in centri di raccolta in attesa della partenza). A fronte dei casi segnalati agli sbarchi e nei centri di accoglienza (peraltro di facile gestione tramite l’applicazione di una lozione cutanea), non vi è evidenza alcuna che essi abbiano esitato in epidemie tra gli italiani o tra gli operatori sanitari, a riprova del basso impatto sanitario di questi episodi patologici.

A conclusione, vale la pena sottolineare ancora una volta quanto sia importante investire nel sistema di accoglienza non solo per ragioni umanitarie ma anche a tutela della salute pubblica. Adeguati standard di accoglienza sono cruciali nel determinare l’evoluzione dello stato fisico e mentale di quanti transitino e risiedano sul nostro territorio. Un’accoglienza dignitosa, lungi dal rappresentare una minaccia per la popolazione italiana, ne proteggerebbe invece a lungo termine la salute, contribuendo a ridurre quei fattori di rischio che sono determinanti nella evoluzione dello stato di salute della popolazione migrante, e di riflesso della comunità tutta.  E in questo il sindaco di Alassio, e con lui tutti i sindaci d’Italia, può giocare un ruolo cruciale, se davvero ha a cuore la tutela della salute pubblica.

La sola garanzia di salute per tutti non può essere che la salute di ognuno.

Stella Egidi, Responsabile Medico MSF Italia 

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