Com’è la vita di un operatore umanitario in missione?

Com’è la vita di un operatore umanitario in missione? Oggi vi racconto la mia! La giornata comincia verso le 6.45, sveglia e colazione. Tutto normale direte voi, ma invece se sei italiana e non puoi fare a meno del caffè, ecco che ti devi alzare un po’ prima e ingegnarti per poter gustare del buon caffè mattutino! Dopo le prime settimane di sguardi sorpresi delle Maman della cucina, ora Maman Kelly mi fa trovare il braciere pronto e aspettiamo chiacchierando il caffè che sale lentamente.

Per noi di Medici Senza Frontiere è fondamentale vivere a contatto con le persone del luogo: gli espatriati come me sono una minima parte del progetto, quasi il 90% dello staff sono congolesi di Bili e dei paesi vicini. Questo ci permetta di farci accettare meglio dalla comunità dove prestiamo assistenza medica e rendere partecipe la popolazione del nostro lavoro.

Verso le 8 vado al lavoro: qui a Bili siamo fortunati, il contesto è sicuro e possiamo muoverci in bicicletta o a piedi. Ogni giorno mentre andiamo all’ospedale veniamo chiamati dai bambini di Bili: “mundele” (i bianchi) è ormai il nostro nome qui; Bili si trova nella regione dell’Equateur che è  forse la più povera del Congo (paese martoriato da anni di guerre), prima di MSF pochissimi bianchi erano passati in quest’area e per i più piccoli è sempre una sorpresa veder girare per il paese degli occidentali.

Il lavoro in ospedale riempie la maggior parte della giornata; si fa ritorno a casa verso le 18. La sera mangiamo presto e andiamo a dormire altrettanto presto: la vita in missione è bella ma richiede molte energie!

Nel tempo libero ci dedichiamo a varie attività. Quando sono arrivata ho trovato un piccolo orto di pomodori fatto da Florian, logista francese; un pomeriggio a settimana lavoriamo assieme nell’orto, l’abbiamo ingrandito e speriamo presto di gustare qualche zucchina e qualche pomodoro dal nostro piccolo orto africano.

Con un telo bianco e un proiettore abbiamo creato il cinema di Bili: la domenica sera è “serata- film”. In un’area della base c’è un canestro per il basket e abbiamo creato un tavolo da ping-pong: molte sere ci troviamo per una partita con i ragazzi congolesi che lavorano con noi.

Queste attività, normali nella mia vita quotidiana in Italia, qui assumono un valore diverso: è una maniera per evadere con la mente dai problemi di lavoro, dalle situazioni che vediamo e viviamo in ospedale. È una maniera per sentirsi parte di un gruppo: essere in missione ti allontana dalla tua famiglia, dagli affetti più cari, ti trovi in un posto distantissimo per chilometri e cultura da casa; avere un team affiatato è fondamentale per superare i momenti difficili e per creare una piccola casa MSF.

La vita in missione è fatta di lavoro, di momenti dove hai bisogno di stare da sola a leggere o pensare, di altri in cui è forte la necessità di condivisione e scambio di idee; è un’esperienza che coinvolge a 360°, densa di emozioni. Non è sempre facile! Nei momenti difficili penso al perché sono qui, alla fortuna di poter vivere questo tipo di esperienza professionale e umana, alla fortuna di poterla condividere con gli altri. 

La cosa più bella della vita di équipe è vedere come diverse competenze – medici, infermieri, ostetriche, logisti, amministrativi – lavorino per un unico scopo: aiutare persone che hanno urgente bisogno di assistenza medico-umanitaria.

Elena, infermiera MSF, Repubblica Democratica del Congo

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