Giorgia Girometti

Giorgia Girometti

Comunicazione MSF
Donne che aspettano

Aspettano. Con una tazza di plastica vuota in una mano, o semplicemente a mani vuote. Ogni giorno, le 9 di mattina, mezzogiorno, le tre di pomeriggio. Sono gli orari di distribuzione di latte nel reparto di nutrizione dell’ospedale di Bossangoa, nella regione dell’Ouham, in Repubblica Centrafricana.

Qui, da gennaio a agosto 2019 sono stati ricoverati 1952 bambini severamente malnutriti, provenienti dai villaggi di tutta la regione.

Il cortile davanti agli stanzoni dell’ospedale diventa all’improvviso pieno di persone, l’infermiera chiama tutte ad alta voce e ognuna si affretta per prendere la razione da dare ai propri figli o nipoti che soffrono di malnutrizione. Poi si siedono di nuovo, per aspettare il prossimo turno.

Prima di aspettare però, molte di loro camminano. Chi per ore, chi per giorni interi, per raggiungere l’unico posto dove possano ricevere delle cure, o chiederle per i loro cari. Ines è arrivata poco più di una settimana fa da Boro, un villaggio a 60 km da Bossangoa. È venuta a piedi, con suo figlio Moussa, due anni e gravemente malnutrito, legato alla schiena.

Da qualche tempo mio figlio non stava bene, lo sapevo. Ma non c’è nessun posto nel mio villaggio o nelle vicinanze dove chiedere aiuto. Altri bambini come lui hanno lo stesso problema, e i miei vicini mi hanno detto di non preoccuparmi:  ma qualche giorno fa ho visto che la pelle del mio piccolo stava iniziando a cadere, che c’era qualcosa che non andava. L’ho preso, l’ho attaccato alla mia schiena e sono venuta fin qui per trovare una soluzione. Non voglio vedere mai più mio figlio in questo stato, non è giusto.”

Ines

Aspettano sedute sul letto del reparto di cure intensive, dove i loro figli o familiari sono ricoverati da più giorni. Soffrono tutti di patologie molto gravi, per le quali l’ospedale di Bossangoa è l’unico posto dove trovare delle cure.

Come Reine, che è seduta da una settimana sul letto dove il suo piccolo Erode, due mesi, con una polmonite in forma grave, ha ricominciato piano piano a respirare normalmente.

Nessuno chiede mai a queste donne come stanno e che cosa le farebbe sentir meglio.”

Me lo spiega Olga, consulente MSF per la Salute Mentale all’ospedale a Bossangoa, dove offre supporto psicologico ai pazienti dei diversi reparti, e alle persone che li accompagnano. Tre volte a settimana, Olga e la sua équipe organizzano delle sessioni di gruppo per le donne, creando uno spazio “sicuro” dove potersi esprimere.

Vengono qui per parlare liberamente, delle loro preoccupazioni e delle loro condizioni, di come si sentono. Sono tristi, hanno paura per il futuro, sono sole.  Molte vengono da lontano e portano con loro storie di difficoltà quotidiane, spesso di violenze che hanno tenuto nascoste per paura di essere stigmatizzate o escluse dalla comunità. Parlarne è per loro il primo passo per superarle e per chiedere aiuto.”

Da Bossangoa a Bangui, passando per il resto del paese, dalle cittadine più grandi fino ai piccoli villaggi nelle zone più remote della Repubblica Centrafricana, sono ancora troppe le donne vittime di violenze basate sul genere, tra cui anche le violenze sessuali, che non sono più un problema prevalentemente legato a un contesto di guerra ma che si sono sempre più “normalizzate”, entrando in tutte le comunità e diventando un fenomeno su larga scala.

Nel 2018 i dati ufficiali delle autorità centrafricane hanno riportato 21 969 casi di violenza sessuale e MSF ne ha documentati altri 4 256 nei vari progetti nel paese.

Questo weekend, nonostante la solita connessione internet molto difficoltosa, ho seguito sulle news e sui social le grandi manifestazioni nazionali contro la violenza sulle donne, in Italia, Francia e molti altri paesi europei. Bello vedere da così lontano tante persone, uomini e donne, scendere in piazza contro la violenza sulle donne, contro i femminicidi, e per più servizi di supporto, protezione reinserimento lavorativo ed opportunità per le vittime.

Per tutte le donne, anche e soprattutto per queste donne che aspettano, che camminano e che con tutte le loro forze cercano di non cadere. Credo che questa giornata dovrebbe essere soprattutto dedicata a loro.

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