Essere operatore MSF: vi racconto perché ho deciso di partire in missione

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Martina, ostetrica, ci racconta la sua esperienza come operatrice MSF, le sfide che ha dovuto affrontare e le motivazioni che l’hanno spinta a partire.

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“Con MSF sono stata tre mesi in Etiopia e cinque mesi in Sud Sudan. In entrambe le missioni con il ruolo di midwife supervisor e il compito di coordinare il servizio di salute riproduttiva che si compone di: ambulatori per cure pre e post natali, pianificazione familiare, reparto maternità, sala parto, unità neonatale e primo soccorso per donne vittime di violenza sessuale.

Quando si lavora in questi contesti, ci si pone spesso una domanda: Perché lo sto facendo?”. Le motivazioni crescono e cambiano. Ci sono momenti in cui non sembrano abbastanza, altri giorni in cui tutti le ragioni sono esplosive e travolgenti, la “benzina” per andare avanti. La motivazione più grande è quella di voler stare vicino alle persone, alla loro condizione quotidiana.

Consapevole di appartenere alla metà fortunata del mondo e del fatto che raggiungere le persone nelle loro terre lavorando con una ONG, non significa condividere la loro vita, ho cercato la soluzione che mi portasse più vicina possibile a qui. Le persone di qui devono cavarsela con quel che hanno, o tentando viaggi della speranza verso altri paesi. Questo è il mio compromesso nella ricerca della prossimità. Ed è incredibilmente duro da digerire. Un sasso poggiato sullo stomaco che ogni giorno ti ricorda chi sei e da dove vieni. Spesso mi fa mettere in discussione tutto. Alla fine, in un modo o nell’altro si accetta il compromesso e si sceglie di restare.

Ho scelto MSF

Scegliere con chi e come partire è stato naturale. Ho scelto di farlo mettendo a disposizione ciò che so fare meglio: il mio lavoro. E ho scelto MSF perché, nonostante la macchina non sia perfetta, con MSF semplicemente si lavora, in maniera professionale. Questo approccio, in contesti dove il caos regna sovrano, è davvero importante: protegge i beneficiari e garantisce aiuti di qualità. Aiuti per tutti. Credo fortemente che a questo mondo non si possa scegliere chi curare. Si cura semplicemente chi ha bisogno.

Ho scelto MSF anche perché sento il dovere di parlare apertamente di ciò che non va, così come di ciò che funziona. La testimonianza e la conoscenza condivisa sono il seme del cambiamento.

Le preoccupazioni e le difficoltà in missione non mancano. Per quanto mi riguarda, la preoccupazione più grande che avevo prima di partire riguardava la clinica. Sapevo che mi sarei trovata di fronte a complicazioni ostetriche che in Italia si vedono raramente. Ero preoccupata per le donne e i bambini!

Più volte mi sono chiesta perché MSF invii ostetriche italiane che, se fortunate, hanno visto un paio di parti podalici in tutta la loro vita, in contesti dove il parto podalico è la normalità. Prima di raggiungere il campo non ho ricevuto alcuna illuminazione soddisfacente ed ero molto preoccupata. Una volta arrivata nel progetto ho capito qualcosa di razionale c’è. La chiave sta nello staff nazionale. Noi espatriati abbiamo lo studio e una forma mentale che ci aiuta ad analizzare le situazioni; lo staff nazionale, anche senza alcun formale percorso di studio, ha l’esperienza di chi, queste cose, le vede da una vita intera. MSF fa partire le ostetriche italiane ed europee, perché insieme allo staff nazionale possono dare una risposta più efficace e sostenibile ai bisogni di salute della popolazione.

Difficoltà e storie indimenticabili

Una volta giunta sul campo, occuparsi del coordinamento è stata una bella sfida. Ho faticato! Coordinare significa tentare, sbagliare, riaggiustarsi e forse, a un certo punto, intuire la strada giusta. Il tutto tante volte e con velocità da formula uno. Le soddisfazioni sono sudate, ma vere.

Essere responsabili di un servizio significa, poi, dover gestire ogni problematica. Manca l’acqua nelle docce della maternità. Non c’è abbastanza personale per coprire i turni del mese prossimo. C’è un’emergenza in sala parto. Sono solo alcuni esempi. La maggior parte delle volte non avevo alcuna idea di dove cominciare ma, per fortuna, non si è mai da soli. Ogni problematica diventa affrontabile se condivisa con altri espatriati del team ma soprattutto con lo staff nazionale.

Ho trovato differenze a lavorare in un contesto “normale”, come quello italiano, o in contesti come quelli in cui opera MSF. Essere ostetrica in Italia significa occuparsi quasi esclusivamente di clinica. È un lavoro di minuzia, che pone l’attenzione sulla donna e sulla qualità delle cure. Ci muoviamo in un contesto “protetto”, supportate da strutture e da personale che possono farsi carico insieme a noi dei casi difficili. Essere ostetrica per MSF significa coordinare un servizio e avere risorse limitate. Può capitare per esempio di lavorare in una maternità dove non c’è la sala operatoria o la banca del sangue. In caso di bisogno, occorre trasferire i pazienti. Come e con che tempi dipende dai chilometri di distanza, dalla sicurezza del tragitto, dalle piogge e da molti altri fattori.

Oltre alle difficoltà e le sfide, ci sono poi le storie di pazienti e staff nazionale che rimangono impresse nella memoria, che danno un volto alla guerra civile. Sono queste le storie che vale la pena di ascoltare. La guerra, la fame, la precarietà di chi non pensa al futuro, ma si preoccupa solo di restare vivo oggi. Sono tutte condizioni che ho potuto comprendere trascorrendo tempo con pazienti e colleghi del posto. In futuro spero di avere la possibilità di raccontare alcune delle loro storie perché questo è il tesoro più grande che ho portato a casa.

A chi ha intenzione di partire con MSF vorrei dare qualche consiglio: buttatevi e lasciatevi stupire, mettetevi a disposizione perché in missione si fa quello di cui c’è bisogno. Abbandonate le aspettative su ciò che troverete e come sarà. Godetevi le persone, soprattutto lo staff nazionale. Siate certi che tutti, proprio tutti, fanno un pezzo di differenza.

Partirei ancora con MSF? Assolutamente sì. Nella mia esperienza, lavorare con MSF è stato travolgente e mi impegnerò al massimo per trovare una soluzione per coniugare al meglio vita privata, il mio lavoro in Italia e un’altra missione. Sono fiduciosa!

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