Ester Russo

Ester Russo

Psicologa MSF

Quelle vite spezzate nel dolore e nel silenzio

Ester Russo

Ester Russo

Psicologa MSF
Quelle vite spezzate nel dolore e nel silenzio

Lampedusa è stata la prima terra che hanno toccato dopo giorni abbandonati in mezzo al mare.

I sopravvissuti sussurrano i nomi di Yassin (16 anni) dal Sudan e Sunday (22 anni) dalla Nigeria, solo due ragazzi, due vite spezzate, annegate nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere la frontiera italiana, l’unica frontiera sicura quando alle spalle hai la Libia, la morte e l’orrore delle torture.  

Erano giovani e non sapevano nuotare, il gommone era carico di bambini e di donne, una volta capovolto era stato difficile aiutare tutti. Ce lo raccontano i sopravvissuti nel pomeriggio del 17 settembre quando finalmente riusciamo a incontrarli, nei loro sguardi l’incredulità dell’accaduto, nel loro dolore la compostezza e la fiducia nel futuro.

Le mascherine si bagnano di lacrime, abbiamo pregato con loro, è stato possibile farlo in gruppo per la prima volta insieme. Oggi è il 3 ottobre, celebriamo la Giornata Nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, il grido di dolore del loro lutto non può rimanere muto

Restituire dignità

I sopravvissuti al naufragio sono arrivati a Lampedusa il 12 settembre e poi trasferiti al CAS “CASA DEI GABBIANI” il 14 settembre, in località Villaggio Mosè (AG) dove il team di MSF li ha incontrati, luogo adibito alla quarantena e presidiato dalle Forze dell’Ordine, a garanzia della sicurezza sanitariaUn edificio immerso nella campagna dove è celato il dolore e la sofferenza.  

Sono 25 le persone sopravvissute. Sono riconoscenti, ogni gesto umano nei loro confronti li sorprende, sento che intravedono nel nostro sguardo, contenuto dalle mascherine che indossiamo e dal distanziamento, la volontà di prenderci cura, di restituire dignità quando possibile.  

È viva, è qui

Tra tutti ci colpisce una donna, di appena 18 anni, originaria della Somalia, alla nostra richiesta di incontrarla è terrorizzata, abbassa lo sguardo, ha una postura dimessa, il suo corpo è evidentemente denutrito malgrado fosse coperto dagli abiti e quindi molto celato.

Sento di doverla rassicurare immediatamente, ma scoppia in lacrime appena socchiudo la porta. La riapro, le restituisco il respiro, la rassicuro, la invito a guardare fuori dalla finestra, non siamo in Libia e raccontiamo di MSF. 

Accenna un sorriso e ci racconta di sé. È partita dalla Somalia giovanissima, ha subito violenze indicibili dal gruppo terroristico Al Shabaab,è stata costretta a spostarsi, ma i paesi dove è transitata hanno contribuito ancor di più a sgretolarla, a sfinirla.

Va in Yemen, la sua famiglia si disperde, compresa la sua bimba di 3 anni, poi scappa in Libia nel 2018 dove viene sistematicamente torturata e stuprata. Mentre lei racconta, siamo atterriti dalla sua sofferenza, ci chiediamo cosa sia rimasto di lei, come sia riuscita ad arrivare viva, come possa essere sopravvissuta.

Proviamo a rimandarle questi accenni di vita, la invitiamo ad ascoltare lo stormo di uccelli che ascoltiamo euforici fuori dalla finestra. È viva, è qui, buona fortuna F 

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