Mi ricordo Mosul.
Era aprile 2017, la battaglia per espugnare la città dall’Isis ancora in corso. Tutti gli ospedali erano stati bombardati e la popolazione priva di ogni assistenza medica. MSF è subito intervenuta per far fronte all’emergenza allestendo un ospedale da campo per curare le vittime di guerra. La postazione si trovava a 15 km dal fronte verso sud ed è stato il primo posto di soccorso in grado di trattare i feriti in una sala operatoria perfettamente attrezzata dentro a un camion e una tenda.
Un giorno ci hanno portato una bambina che era rimasta sepolta cinque giorni sotto le macerie della sua casa, mentre cenava con tutti i membri della sua famiglia. All’improvviso si è trovata la casa addosso, tutta la sua famiglia distrutta. È stata portata in salvo da uno zio che aveva avuto la notizia e che nonostante mille difficoltà per raggiungere il posto, inagibile e pericoloso nelle vie della vecchia Mosul sotto assedio, ha avuto la forza e il coraggio di portarla nel nostro ospedale. Sono stata con lei un po’ di tempo, le tenevo la mano.
I suoi occhi erano grandi e fissavano il vuoto, non una lacrima né una parola. Aveva gli arti fratturati ma nessun segno di dolore. Dopo qualche ora è arrivato il fratello che era con lei e si era salvato. Un abbraccio fra loro ed è scoppiata in un pianto infinito.
In quei giorni ho ascoltato le storie personali dei chirurghi locali e sono stata profondamente colpita dal peso delle loro sofferenze. Si sono trovati improvvisamente senza la possibilità di fornire cure mediche e senza lavoro nei loro ospedali, con le famiglie evacuate presso parenti lontani.
Hanno vissuto per mesi con un dollaro al mese e questo li ha costretti a cercare altre attività, come autisti, venditori, addetti a lavori pesanti. Mi ha molto aiutato sentire come raccontavano le loro vicissitudini, le loro paure e preoccupazioni.
Sempre con dignità, coraggio, speranza, tenacia, forza.