Morire in mare. Un anno dopo niente è cambiato
A un anno esatto dal tragico naufragio di un peschereccio libico a 85 miglia al nord della Libia, circolano notizie di un nuovo naufragio nel Mediterraneo. Se fosse confermato, sarebbe l’ennesima, inaccettabile perdita di vite umane. 
 
Il naufragio dell’anno scorso provocò almeno 800 morti che giacciono ancora a 375 metri di profondità. Una tra le più grandi tragedie del mare di sempre, che fece rompere gli indugi a un’organizzazione come MSF che pochi giorni dopo iniziò per la prima volta operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, proseguite per tutto il 2015 portando in salvo più di 23.000 esseri umani. E proprio in queste settimane ci accingiamo a riprendere le operazioni di soccorso in mare.
 
Il nostro livello di frustrazione un anno fa era alle stelle e avevamo a più riprese comunicato la nostra preoccupazione per la fine dell'esperienza di Mare Nostrum, ipotizzando nuove tragedie se l'Italia o gli altri 27 Stati membri dell'Unione Europea non avessero ripreso azioni di ricerca e soccorso estese e coordinate. Ci vollero i 1.400 morti dei primi 5 mesi del 2015 a scuotere alcuni governi e alla fine gli interventi arrivarono.
 
Malgrado gli sforzi comuni tra mezzi militari, mercantili privati e organizzazioni non governative, almeno 3.500 persone hanno comunque perso la vita nel Mediterraneo lo scorso anno (dati OIM).
 
Un anno è trascorso, le pericolose partenze dal nord Africa verso l’Europa sono riprese e con esse i naufragi e noi restiamo estremamente preoccupati. Il Mediterraneo si conferma ancora una volta la tomba per tante, troppe persone.
 
Nel frattempo, la rotta Balcanica è stata chiusa, gli Stati membri dell’UE hanno eretto barriere invalicabili, l'accordo Europa-Turchia ha fatto il resto. Il livello di disperazione tra le persone che scappano da conflitti resta assolutamente immutato, così come resta immutata la loro voglia di dare un briciolo di futuro ai propri figli.
 
La disperazione potrebbe spingerli verso altre rotte: sappiamo bene che nel 2014 delle 170.000 persone arrivate via mare in Italia il 40% erano siriane. Se ciò dovesse ripetersi, l'UE sarebbe colpevole per l'ennesima volta di dirottare verso percorsi ancora più pericolosi, persone sopravvissute a violenze inenarrabili nei loro Paesi.
 
L'altra nostra grande preoccupazione riguarda la gestione dell'accoglienza per le persone che arriveranno sulle nostre coste e non potranno (come accadde concretamente nel 2014) continuare il loro viaggio fuori dai confini Italiani verso nord. Rischiano di restare imbottigliati in Italia, ma con quali conseguenze?
 
Pochi giorni fa abbiamo descritto nel rapporto Fuori Campo, l’insufficiente accoglienza offerta a rifugiati e richiedenti asilo in Italia: almeno 10.000 persone oggi vivono sui binari e nei sottopassaggi delle stazioni ferroviarie, nei giardini pubblici, in riva ai fiumi, in baraccopoli, container ed edifici occupati, nelle metropoli e sperduti nelle campagne. Uomini, donne e bambini in condizioni di vita inaccettabili e con scarso o nessun accesso alle cure. Come farà il nostro governo a fronteggiare una possibile, probabile crisi? Basteranno i 15.000 posti per l'accoglienza supplementari che il governo sta chiedendo a tutte le prefetture di trovare?
 
Saremo ancora una volta testimoni della vergognosa resa dello Stato a Ventimiglia, a Ponte Mammolo, alla Stazione centrale di Milano come nel 2015?
 
Con il quasi certo inasprimento delle misure di controllo frontaliero in Austria e Francia, e il perseverare sui vincoli imposti dal regolamento di Dublino, ci aspettiamo un'estate calda e difficile.
 
 
Loris De Filippi, Presidente di Medici Senza Frontiere Italia
 
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