Una giornata difficile

Una giornata difficile

Ore 6

Sono le 6 del mattino e proprio oggi non mi va di saltare giù dal letto…la notte è stata popolata di strani sogni tutti riguardanti i pazienti e le situazioni affrontate il giorno prima e non mi sento affatto riposata…ma sono qui per dare il mio contributo a questa battaglia…faccio un bel respirone e  mi preparo a un altro giorno nel caldo umido di Monrovia.

Ore 7

Ogni mattina alle 7 abbiamo la riunione con tutti gli operatori umanitari internazionali che lavorano nel Centro per il trattamento dell’Ebola a Monrovia. Si tratta di circa una mezz’oretta di aggiornamenti sulle attività giornaliere che affronteremo e sui problemi del giorno precedente, poi statistiche sul numero di pazienti ammessi nel centro, i dimessi perché guariti, i deceduti, i nuovi ingressi nel reparto dei sospetti. Prima delle 8 siamo già tutti operativi, con indosso la divisa ospedaliera e gli immancabili stivali di gomma, pronti a prendere le consegne dal turno di notte. Sono già le 8.30 e il triage viene aperto…ecco passare dal grande cancello i primi pazienti, alcuni di loro sono veramente molto gravi.

Ore 9.30

Alle 9.30 l’infermiera che supervisiona il triage mi chiama via radio. Vuole che  vada di corsa da lei…ha una situazione un po’ delicata nella tenda del triage. Ci sono due donne in stato di gravidanza che rispondono ai criteri di ammissione. Una è incosciente ed è al nono mese di gravidanza, mentre l’altra, ancora cosciente ma molto confusa, ha iniziato a sanguinare ed è al sesto mese. Immediatamente decidiamo dove sistemare le due pazienti all’interno della tenda dei sospetti. In pochi minuti tutti sono stati allertati e il posto speciale dove accomodare le due nuove pazienti è stato preparato. Un’altra chiamata radio sempre dal triage…corro nuovamente là e la mia collega mi informa che purtroppo la donna, che era già arrivata incosciente, è morta con due gemelli in grembo.

Tutto lo staff del triage è abbattuto, le facce tristi e sconsolate…a me si stringe il cuore…non si poteva fare nulla più di quello che abbiamo fatto…è arrivata al Centro troppo tardi. Intanto gli igienisti e un medico del gruppo del triage sono pronti con indosso i tutoni di protezione ed entrano all’interno della tenda dove i pazienti vengono dotati di braccialetto identificativo e portati nella tenda dei sospetti. L’altra donna in stato di gravidanza è davvero molto confusa e sanguina copiosamente…purtroppo sappiamo tutti molto bene quale sarà il suo destino, ma ci vogliamo comunque credere.

Ore 12

Sono le 12 e abbiamo già ricoverato nel reparto sospetti 25 pazienti. Corriamo qua e là sotto un sole cocente. Il lavoro è davvero tanto, il caldo sfianca e ti riduce il tempo che puoi trascorrere all’interno della zona ad alto rischio. La seconda donna in stato di gravidanza muore poco dopo il ricovero e l’umore di tutti noi è a terra. Tra i ricoverati ci sono tante mamme con bimbi piccoli sotto l’anno, molti di loro ancora allattati. A turno continuiamo a ricordare a queste mamme di non allattare i bimbi (il virus Ebola si trasmette anche con il latte materno), e come una catena di montaggio prepariamo biberon con latte e cereali da inviare all’interno dell’area ad alto rischio.

Ore 15

Alle 15 i pazienti ricoverati nell’area sospetti sono già 30, e quasi tutti versano in condizioni severe. Arriva la telefonata dal laboratorio analisi e io mi dirigo a ritirare i primi risultati: i foglietti verdi (pazienti ricoverati nell’area sospetti) si susseguono indicando un’unica scritta “positivo”, uno dietro l’altro, e il cuore mi si stringe nuovamente; poi passo ai risultati dei pazienti già ricoverati da tempo e malati di ebola…ancora tanti “positivi”, ma tra loro spiccano 3 “negativi”, due dei quali sono bambini. Ecco quel che ci voleva per ridarmi respiro. Fotocopio i risultati immediatamente e porto le copie nell’area confermati…i 3 pazienti negativi possono ancora essere dimessi oggi!

Ore 17.30

Alle 17.30 il triage viene chiuso. Abbiamo ricoverato 38 pazienti oggi e continuiamo a correre qua e là per dare loro assistenza. Un’altra telefonata del laboratorio e altri risultati pronti per noi. Corro a recuperarli e quando torno e li riferisco allo staff dell’area sospetti, l’umore cala nuovamente. Le mamme e i bambini devono essere separati…due mamme risultano positive al test, mentre i neonati risultano negativi e dovranno restare nel reparto sospetti per essere testati nuovamente dopo 24 ore. Dopo pianti disperati e l’aiuto del team degli psicologi, le mamme vengono spostate nell’area dei confermati, e i bimbi restano adagiati sulle barelle, in attesa che un nostro operatore (ex paziente Ebola sopravvissuto al virus), entri nella zona ad alto rischio per prendersene cura per tutta la notte.

Ore 17.45

Sono le 17.45 e un urlo strazia il cielo. Proviene dal reparto dei sospetti. Una mamma esce dalla tenda portando tra le braccia il corpo esanime di un bimbo di circa 2 anni. Cerca di accomodarlo su una sedia e di chiamarlo…ma lui non risponde, scivola via…e lei continua a urlare il suo nome…c’è anche il padre lì con loro…si trascina a fatica fuori per stare con il figlioletto. Le urla strazianti continuano, e il team di psicologi corre a indossare le protezioni per poter entrare nella zona ad alto rischio…ci vogliono più di 45 minuti per convincere la madre a lasciare il figlioletto.

Ore 18.30

Quando tutto è sotto controllo sento forte la necessità di qualcosa di positivo…ho una sensazione terribile alla bocca dello stomaco…devo trovare qualcosa che mi ridia la speranza…ed è così che mi ricordo dei 3 pazienti risultati negativi al test nel primo pomeriggio. Corro immediatamente nell’area confermati con la speranza di vederli ancora…e lì li trovo. Sono una mamma con 2 bimbi piccoli, uno di circa 3 anni e la sorellina di 5. I loro sorrisi sono impagabili e riempiono l’aria, la felicità che sprizzano mi dà in un secondo quella speranza che tanto agognavo, e che mi ricorda il perché sono qui.

Orgogliosi dei loro nuovi vestitini i 2 bimbi caracollano dietro la mamma e accompagnati da alcune persone del team degli psicologi si dirigono al muro dei sopravvissuti…il muro della speranza…lì li attendono 3 secchi di vernice di colore diverso…è il loro turno lasciare l’impronta della loro mano che attesti che sì, loro ce l’hanno fatta…loro sono sopravvissuti…loro hanno vinto questa dura battaglia contro l’Ebola. 

Mi viene la pelle d’oca mentre resto a guardarli poco lontano…e mi sento di nuovo carica…perché quel muro bianco eretto poche settimane fa si sta riempiendo giorno dopo giorno…e cancella (anche se solo per un attimo) l’infinita tristezza di una giornata difficile.

Chiara, infermiera MSF, di ritorno da Monrovia

 

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