Livia Tampellini

Livia Tampellini

Medico MSF

Un’amica mi ha chiesto…

Livia Tampellini

Livia Tampellini

Medico MSF
Un’amica mi ha chiesto…

Un’amica mi ha chiesto cosa ci trovo nel Sud Sudan visto che ci ho trascorso più di un anno e gli ultimi due natali. La risposta è difficile, è molto intima.

Di per sé è un luogo ostile dove ogni speranza sembra perduta, c’è chi dice che là al mattino ti alzi e perdi già due a zero!

Nella stagione delle piogge si allaga tutto e il fango è così denso che camminare è impossibile. Nella stagione secca la gente è costretta ad abbandonare i villaggi perché non c’è acqua e percorrere molti giorni di cammino per arrivare a dei pascoli per il bestiame.

La guerra, la fame, il caldo torrido e i tanti problemi storici di questo giovanissimo paese sono le uniche cose che si conoscono.

Non mollare mai

Per me è stata una scuola di vita perché ho imparato tanto, sia dal punto di vista professionale che umano. Dal punto di vista medico ho re-imparato a considerare sempre il paziente a 360° e mai a compartimenti stagni: da capire dove prende l’acqua da bere e dove vive a cosa può aver sofferto e a che sintomi tutto ciò può dare.

Dal punto di vista umano la lezione è chiara: non mollare mai.
I miei eroi qui, come in tutti i paesi dove lavoriamo, sono le persone dello staff nazionale: uomini e donne che combattono mille avversità quotidiane, i volti scolpiti nell’ebano, difficilmente sorridono, spesso sembrano duri perché così devono apparire. Non possono cedere.

Vittime loro stessi della guerra in cui il Paese è immerso da anni: i loro genitori sono nati durante la guerra, loro sono nati durante la guerra e i loro figli sono nati nella guerra.

Per noi occidentali abituati a vincere facile e alle storie a lieto fine questo mondo durissimo sembra impossibile da vincere. Il problema è che non dobbiamo vincerlo né cambiarlo ma solo accettare il ritmo della lotta.

Accettare che si deve continuare a combattere, a vivere ogni giorno e accettare che il bello della vita è vivere non vincere. Siamo perfetti? No! Ma diamo il massimo, portiamo cure mediche in capo al mondo dove la medicina moderna è un sogno, dove vedere morire bambini di malaria e malnutrizione è la norma. Non dobbiamo smettere di combattere.

Un anno fa a Maban a causa di un incidente di sicurezza abbiamo dovuto evacuare la maggior parte del team internazionale: gestivamo un ospedale da 80 letti e 300 parti al mese e ci siamo ritrovati con un solo dottore e un’ostetrica. Nonostante le difficioltà lo staff locale non ha mollato un giorno!

Noi non potevamo andare, ma loro c’erano e ci sono stati sempre. Pronto soccorso e sala parto non hanno mai smesso di lavorare. Infermieri che col supporto via radio facevano il lavoro dei medici, ausiliari che aiutavano gli infermieri tutti presenti. Era perfetto? No. Ma loro non hanno mai smesso di esser al fianco dei pazienti. E questo è quello che mi hanno insegnato.

Sempre a fianco dei pazienti

Non importa cosa succede, ma il nostro posto è al fianco dei pazienti, sempre.

Tra i tanti volti che hanno popolato il mio anno in Sud Sudan, due rimarranno indelebili nella mia memoria. Neemah ed Easter.

Entrambe donne, due delle colonne portanti della nostra missione da molti anni, senza di loro crollerebbe tutto. Il giorno che sono partita mi hanno presa e chiusa nell’ambulatorio di Easter per salutarmi spiegando alla receptionist che la porta doveva essere chiusa per non far vedere che loro piangevano… Ovviamente chi ha pianto a dirotto sono stata io!

Ma per l’ennesima volta mi hanno protetta a modo loro: nel loro mondo non bisogna mostrare la debolezza. E così quei volti che sembrano duri e impassibili per me ora saranno sempre dolcissimi.

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