Negli ultimi due anni dall’inizio della guerra scoppiata in Sudan, si calcola che più di 1,5 milioni di cittadini sudanesi abbiano attraversato il confine e vivano ora in Egitto. Solo nel governatorato di Assuan, nel sud-est del paese, sono registrati 15.000 rifugiati sudanesi. Medici Senza Frontiere (MSF), in collaborazione con Om Habibeh Foundation (OHF) organizzazione no-profit egiziana attiva nel governatorato di Assuan, gestisce 5 cliniche mobili per fornire assistenza sanitaria di base e per la salute mentale alla popolazione sudanese rifugiata e per sostenere il sistema sanitario nel governatorato di Assuan.
Assuan non è solo il primo punto di arrivo per molti sfollati, ma anche un importante centro di transito, dove le esigenze umanitarie, come protezione, alloggio, cibo e servizi sanitari, sono più acute e l’accesso agli ospedali locali rimane estremamente difficile. In un anno, i team di MSF hanno effettuato più di 7.265 consultazioni generali e oltre 6.600 consultazioni per malattie non trasmissibili, 1.470 sessioni individuali di salute mentale e più di 2.440 sessioni promozione della salute.
Ogni mattina, un team congiunto di MSF e OHF, composto da medici, infermieri, psicologi ed educatori sanitari, fornisce assistenza medica di base a sudanesi ed egiziani in difficoltà nei villaggi di Karkar, Daraw, Nasr Al Nuba e nella città di Assuan. Queste persone, fuggite dal Sudan con pochissimi beni essenziali, hanno bisogni enormi e per molti di loro, lo status giuridico limita la libertà di movimento e l’accesso all’assistenza sanitaria, per timore di intimidazioni o reazioni violente nei loro confronti.
“Fuggire dalla guerra e lasciare tutto alle proprie spalle ha un grave impatto sulla salute mentale delle persone. Vediamo molti pazienti che soffrono di ansia, depressione o disturbo da stress post-traumatico (PTSD) a causa di ciò che hanno vissuto in Sudan o durante il viaggio per arrivare qui e dell’incertezza della loro vita attuale” afferma Moses Luhanga, responsabile delle attività di promozione della salute di MSF in Egitto.
Attraverso l’attività delle cliniche mobili, i team forniscono assistenza medica per malattie croniche, come il diabete, e assistenza psicologica. “La richiesta di assistenza psicologica è enorme. Le persone, per lo più sudanesi, sono stanche della guerra e della loro situazione e vedono queste visite settimanali come una piccola fuga dalla realtà. Quando ho annunciato per la prima volta che uno psicologo sarebbe venuto a Karkar, più di 500 persone hanno mostrato interesse“ racconta Ala’a Salah Eddin, portavoce della comunità di Karkar, piccola città a 30 chilometri a sud di Assuan, che inizialmente ospitava circa 200 famiglie egiziane e poi ha raddoppiato il numero dei residenti con l’arrivo di circa 200 famiglie sudanesi.
Un numero sempre più alto di egiziani riceve assistenza da questo servizio di cliniche mobili ma la maggior parte dei pazienti rimane sudanese. Sebbene le esigenze siano diverse, l’aspetto economico rimane il principale ostacolo comune: per molti il costo della vita sta aumentando, rendendo sempre più difficile continuare sfamare le famiglie. Anche raggiungere una struttura sanitaria o acquistare i farmaci, può rappresentare un costo inaccessibile.
Oltre all’assistenza medica, ogni giorno un operatore di MSF segue i pazienti che necessitano di servizi aggiuntivi come protezione o assistenza economica e sociale. A partire da settembre 2025, più di 80 pazienti sono stati indirizzati ad organizzazioni sul territorio che forniscono questo genere di assistenza.
Testimonianze raccolte dai team MSF
Asma*, 64 anni, originaria di Khartoum, ha lasciato il Sudan nel 2023, un mese dopo lo scoppio della guerra, per trovare rifugio con due dei suoi figli a Daraw, un villaggio a 40 km a nord della città di Assuan. Asma, che soffre di diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari, è stata costretta a fuggire, perché non riusciva più ad avere assistenza medica. Negli ultimi otto mesi è stata seguita dalle cliniche mobili di MSF e OHF. “Sono molto grata per le cure di qualità che ricevo, inoltre non devo preoccuparmi delle spese mediche che non potrei sostenere. I pochi familiari che ho ancora a Khartoum hanno dovuto vendere molti dei nostri beni per sostenerci finanziariamente. Avevamo diversi negozi per le nostre attività commerciali, ora le cose sono cambiate per tutti noi” racconta.
Khaled*, 61 anni, originario di Jazirah, a sud di Khartoum, è rimasto sfollato per alcuni mesi prima di trovare rifugio in Egitto. “Lasciare il Sudan è stato molto difficile ma non avevamo altra scelta. Tutto ciò che voglio è tornare indietro e trascorrere il resto della mia vita nel paese in cui sono nato” racconta con le lacrime agli occhi. “In Sudan ero un commerciante. Avevo una vita molto agiata ma la guerra non è mai facile. Le nostre attività commerciali sono state distrutte, così come le nostre case e i nostri villaggi”. Khaled è in cura presso le cliniche mobili di MSF perché affetto da una malattia cronica.
Aliya*, 40 anni, madre di tre figli in attesa del quarto, è fuggita dalla guerra in Sudan e ora vive a Karkar, 30 km a sud della città di Assuan. Fin dall’inizio della gravidanza si è rivolta alle cliniche mobili gestite da MSF e OHF. “Mi sono sentita molto sollevata quando ho saputo che il mio parto sarebbe stato assistito dal team medico che avrebbe coperto anche il mio trasporto in ospedale”. Anche i suoi tre figli, di età compresa tra i 2 e i 14 anni, si rivolgono alla clinica mobile per l’assistenza medica di base o anche solo per giocare con altri bambini, durante le attività organizzate per loro dai team di psicologi. “Sono felice quando vedo i miei figli giocare e divertirsi. È tutto ciò che desidero per loro in questo momento. Sono rimasta nove mesi in Sudan con la mia famiglia prima di decidere di cercare rifugio in Egitto, poiché la situazione era diventata insostenibile. È stato un viaggio orribile. Abbiamo camminato per giorni nel deserto, di notte faceva molto freddo e non avevamo abbastanza cibo né acqua. Rimanevo per ore senza bere, perché conservavo la mia razione per i miei figli”. Aliya e suo marito ora lavorano come braccianti per garantire un po’ di soldi e stabilità alla loro famiglia.
*i nomi dei pazienti sono stati cambiati per proteggere la loro identità
