Giornata Mondiale contro l AIDS

Ho scritto questo perché sappiate dove trovarmi.

 

Mammon era più contenta di me. Cantava per strada, al mercato – ovunque la si potesse sentire. “Paulit sposerà un capitano. Paulit sposerà un capitano.” La mia sorellina, Natalie, pensava che Mammon fosse malata. Non era normale che fosse felice, specialmente con me. La sua felicità era dirompente, ma non era niente rispetto alla mia beatitudine.

Sposai un capitano. Mammon lo chiamava “capitan Antoine”; Natalie lo chiamava “il tuo adorato capitano”. Non solo mio marito era capitano, ma veniva da una famiglia facoltosa e quindi era anche ricco. La sua famiglia viveva a Kintambo, dove vivono i borghesi. Noi stavamo a Kasavuba insieme ai poveri.

Conobbi Antoine per caso. “Un miracolo” lo definì Mammon. Il miracolo andò così. Yvette era una mia amica. Suo padre lavorava per uno dei sindacati. Un giorno ottenne una promozione e diede a Yvette 20 dollari per festeggiare.

Yvette volle portare me e Saadyah a Bandal: musica, birra e ragazzi. I 20 dollari sarebbero bastati per tutte e tre. Accettai.

Fu strano da parte mia; in genere preferivo starmene sola ma per qualche motivo il destino gridò nel mio isolamento: “Paulit, vai a Bandal”.
“Torna entro le dieci” disse Mammon. Natalie cantava come un’idiota.

“Paulit troverà un innamorato,
che la bacerà sulla riva,
avranno quattro figli
il suo cuoricino è spacciato!”

Lasciai la casa di Mammon in jeans e una maglietta azzurra con la scritta “Coppa del Mondo 2002.” Ero scalza. Ma arrivai alla fermata del taxibus, a un chilometro di distanza,
con una gonna giallo vivo (sotto al ginocchio), una maglietta D&G talmente attillata da mostrare il sudore e un paio di scarpe nere, entrambe coi tacchi. Nascosi jeans e maglietta della Coppa del Mondo dietro nel negozio Acconciature Enrique.

Alla fermata dell’autobus i ragazzi mi guardavano ma non osavano fiatare. Ero perfetta; una lunga pantera pronta a cacciare.

Arrivai alla fermata del taxibus per prima. Yvette e Saadyah, quando arrivarono, erano carine ma solo la metà di me.

Saadyah aveva dello smalto per le unghie, rossetto e profumo. Mntre aspettavamo, condivise quelle cose con me. Quando salii sul taxibus gremito ero una pantera: pronta, truccata e profumata.

A Bandal passeggiammo lungo il Boulevard. Passammo di bar in bar, ancheggiando, e dopo il terzo bar la smettemmo di ridacchiare come delle bimbe; ogni imbarazzo era scomparso.

Il quarto bar, il 3615, era un posto elegante. Aveva un piano terra e una discoteca a quello di sopra, affacciata sulla strada. Salimmo, io per ultima. Yvette e Saadyah erano già pronte ad attaccare. Il bar al piano di sopra era quasi pieno. Ma non appena ci sedemmo, un gruppo di soldati ci mise gli occhi addosso.

Tutte le ragazze conoscono i soldati. Tutte le ragazze sanno cosa fanno le ragazze con i soldati. Yvette era quel genere di ragazza. Dopo dieci minuti ci lasciò. Andò con un soldato alto e magro con un distintivo sulla spalla. Sembrava un’adulta mentre ballava e infilava una gamba in mezzo a quelle del soldato. Lui l’accarezzò e un attimo dopo…

 

Incipit di Makass, racconto di James Levine tratto da Dignità! Nove scrittori per Medici Senza Frontiere (Feltrinelli editore)
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