La tripanosomiasi africana umana – generalmente conosciuta come malattia del sonno – è una parassitosi causata da un protozoo del genere Trypanosoma e trasmessa all’uomo attraverso il morso della mosca tse-tse diffusa nell’Africa sub-sahariana. Si calcola che circa 65 milioni di persone siano esposte al rischio di contagio. Colpisce il sistema nervoso centrale, causando una sindrome neurologica severa, letale se non trattata.

Oltre il 95 percento dei casi registrati è imputabile al parassita Trypanosoma brucei gambiense, che è diffuso nell’Africa occidentale e centrale. L’altro 5 per cento dei casi è provocato da Trypanosoma brucei rhodesiense, diffuso nel sud-est del continente. Si stima che il numero dei casi si aggiri intorno ai 30.000 per anno.

 

  • 30 mila casi all'anno
  • 84% dei casi in Repubblica Democratica del Congo
  • 90 pazienti trattati da MSF nel 2017

La tripanosomiasi africana è diffusa principalmente nelle aree più povere e rurali dell’Africa, dove l’instabilità politica, la difficoltà di stabilire una diagnosi certa e la mancanza di un sistema di sorveglianza sanitario rendono le stime sulla prevalenza particolarmente incerte. Guerre, povertà, spostamenti forzati di popolazioni aumentano il rischio di trasmissione con severe conseguenze sociali ed economiche. Tra i 36 Paesi considerati endemici sono 7 i Paesi maggiormente colpiti, tra questi la Repubblica Democratica del Congo rappresenta l’84% dei casi.

La prima fase della malattia è facile da curare ma difficile da diagnosticare, in quanto causa sintomi aspecifici, come febbre e debolezza. Nella seconda fase, il parassita invade il sistema nervoso centrale e i pazienti cominciano a esibire sintomi neurologici o psichiatrici, come scarsa coordinazione motoria, disorientamento, convulsioni e disturbi del sonno. In questa fase, una diagnosi accurata richiede l’analisi di un campione di fluido cerebrospinale.

Grazie agli studi compiuti da DNDi e al lavoro di MSF sul campo, la terapia combinata a base di nifurtimox-eflornitina (nifurtimox-exlornithine combination therapy, NECT) è divenuta il trattamento standard raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e inserito nella lista dei farmaci essenziali, basato su farmaci molto più sicuri del precedentemente utilizzato melarsoprol, un derivato dell’arsenico che, sviluppato nel 1949, determina un tasso di mortalità del 5-20% tra i pazienti trattati.

Questo trattamento, tuttavia, resta difficile da somministrare e può essere distribuito solo all’interno di strutture sanitarie e da personale esperto. Per questo DNDi in collaborazione con MSF sta valutando l’efficacia e la sicurezza di un regime orale a base di flexinidazolo tra i pazienti che si trovano al secondo stadio della malattia. Lo studio randomizzato e i trials clinici effettuati tra il 2012 e il 2016 su 394 pazienti hanno mostrato l’efficacia e la sicurezza di questo trattamento per il Trypanosoma brucei gambiense. I dati relativi a questa sperimentazione clinica sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “The Lancet”.

Se questi dati verranno ulteriormente confermati, la terapia  orale a base di fexinidazolo – più efficace e con un miglior profilo di tollerabilità – potrebbe rappresentare un punto chiave di svolta verso  l’eliminazione di questa malattia negletta.

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