“Mission” e l azione umanitaria a confronto

La polemica scaturita attorno alla trasmissione “Mission”, che vede coinvolti personaggi famosi che affiancano operatori umanitari all’interno di campi rifugiati o contesti analoghi, non si limita all’Italia: prima ancora che il primo episodio venisse trasmesso aveva già raggiunto, infatti, il nostro personale presente nei progetti in Sud Sudan e in Giordania. Anche se MSF non ha nulla a che fare con questa iniziativa, abbiamo registrato reazioni sui social media da parte di persone che vivono fuori Italia, come ad esempio in Medio Oriente, e continuiamo a ricevere numerose lamentele da parte dei nostri operatori umanitari.


Non si tratta di un dibattito accademico, ma è un tema molto pragmatico. Ha implicazioni su come le organizzazioni umanitarie sono percepite dai beneficiari e da coloro che sostengono il loro operato. La prima puntata è andata in onda ieri e siamo rimasti piacevolmente sorpresi di vedere che RAI1 ha dedicato due ore intere di trasmissione a un tema così particolare senza interruzioni pubblicitarie. Ciononostante, riteniamo che la discussione portata avanti sia rimasta a un livello superficiale: lo spazio maggiore è stato riservato ai personaggi famosi e non c’è stato spazio per ampliare il dibattito, ad esempio, sul blocco degli aiuti umanitari in Siria o sulle responsabilità degli Stati europei sulla questione dei rifugiati.


Ci saremmo poi aspettati una maggiore attenzione sugli operatori umanitari e sul loro lavoro: l’operatore è rimasto nell’angolo, come un semplice accompagnatore della celebrità. Non sono state raccontate le storie dei tanti professionisti che lavorano sul campo giorno dopo giorno, ma il loro lavoro è emerso solamente attraverso l’improvvisazione dei vip che si sono cimentati con la costruzione di una casa o la distribuzione di generi di prima necessità. Ricordiamo che i veri “attori” dell’azione umanitaria sono professionisti del proprio settore: ingegneri, medici, infermieri, logisti: persone qualificate e specializzate. Ci pare che questa iniziativa non sia riuscita a rappresentare in pieno l’impegno, la serietà e la professionalità del personale (locale e internazionale) che lavora sul campo.


Possono le “celebrità” aiutare l’azione umanitaria? La risposta è sì. Diverse di loro hanno fatto donazioni generose, anche a MSF, ad esempio per i nostri interventi d’emergenza a Haiti o in Indonesia. Possono anche aiutare a ottenere un cambiamento: Javier Bardem è stato, per esempio, con MSF un pioniere nella sensibilizzazione sulle malattie dimenticate a livello internazionale attraverso il suo documentario “The Invisibles”. E’ però lecito l’utilizzo di celebrità appartenenti al mondo dei reality e trapiantate per l’occasione nei campi rifugiati, che s’improvvisano nell’offrire aiuti umanitari? Un simile aiuto sarebbe stato accettato come eticamente corretto dalle vittime del terremoto in Abruzzo o dalle persone coinvolte nelle inondazioni in Sardegna?


L’immagine complessiva emersa ieri sera non rappresenta pienamente la realtà che le organizzazioni umanitarie affrontano per portare assistenza ai milioni di rifugiati o sfollati in tutto il mondo, così come le sfide e i dilemmi dell’azione umanitaria: ad esempio, quelli con cui ci confrontiamo in Siria, a causa della frammentazione degli attori armati coinvolti e dell’insicurezza generale. In particolare, ci preoccupano alcuni messaggi che sono passati sulla fornitura di aiuti umanitari, come nel caso del documentario sul Mali, nel quale è stato spiegato che la sicurezza dei convogli umanitari viene garantita da scorte armate invisibili ma pronte ad intervenire in caso di necessità. Rappresentare in questo modo l’azione umanitaria (accompagnata da scorte armate) rischia di far credere ai milioni di persone che ieri hanno visto il programma che questa sia l’unica maniera per fornire assistenza umanitaria, quando invece nella maggior parte dei casi ciò avviene costruendo la fiducia con le comunità locali, attraverso il dialogo con le parti in conflitto, nel rispetto dei principi di neutralità e indipendenza.


Ci auguriamo, dunque, che la discussione attorno a “Mission” porti alla realizzazione di reportage e approfondimenti più pertinenti su come migliaia di persone lottano quotidianamente per sopravvivere, oltre che a una rappresentazione più fedele dell’azione umanitaria e dei suoi attori.

Condividi con un amico