Caracas: le persone si sentono sempre più abbandonate

Caracas: le persone si sentono sempre più abbandonate

Xili Fernández lavora per MSF dal 2012, con missioni in paesi come la Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Siria, Zambia, Libano e Turchia.  A gennaio del 2019, è tornata nella sua città natale, Caracas, per lavorare come coordinatrice del progetto di MSF che assiste le vittime di violenza urbana e sessuale nella capitale venezuelana.

Hai lasciato Caracas nel 2003. Cosa hai trovato quando sei tornata nel 2019?

Nel 2003 si poteva vedere l’inizio della crisi economica del paese, ma ora è molto peggio. Sebbene lo sapessi, non mi aspettavo comunque di vedere l’intero sistema in uno stato di totale collasso: il sistema sanitario in difficoltà, le persone demoralizzate, la crisi economica profondissima.

Cosa fa MSF a Caracas?

Lavoriamo a Caracas dal 2016. Abbiamo sei strutture in cui offriamo assistenza nei quartieri dei comuni di Libertador e Sucre, dove la violenza di strada e la presenza di bande criminali sono abituali. Ci occupiamo di fornire cure mediche e psicologiche alle vittime di violenza urbana e sessuale.

Diamo molta importanza all’assistenza alle vittime di violenza sessuale. Troppo spesso non è considerata un’emergenza medica, ma in realtà ricevere cure nelle prime 72 ore dopo la violenza è fondamentale per prevenire malattie a trasmissione sessuale e gravidanze indesiderate. Naturalmente, chi sopravvive necessita anche di assistenza psicologica.

Abbiamo anche iniziato a collaborare con il Ministero della Salute in tre ospedali, l’Ospedale Vargas a Caracas, l’Ospedale Pérez a León e l’Ospedale materno-infantile a Petare. Attraverso la nostra collaborazione con questi ospedali, speriamo di raggiungere un numero maggiore di pazienti colpiti dalla violenza e di assistere i casi urgenti legati alla violenza sessuale.

Siamo inoltre pronti a rispondere in caso di emergenza. Se sono in atto manifestazioni di protesta, valutiamo la situazione e decidiamo se sia necessario il nostro supporto. Durante le manifestazioni di protesta ad aprile, per esempio, abbiamo offerto forniture mediche alle cliniche dove venivano curati i feriti.

Quali sono le difficoltà nel raggiungere i pazienti sopravvissuti alla violenza sessuale?

Il percorso legale per chi sopravvive alla violenza sessuale è ben noto, ma molti non la considerano un’emergenza medica. Non sanno che ci sono farmaci accessibili a Caracas o che noi li abbiamo e li forniamo gratuitamente.

Tuttavia, stiamo raggiungendo un numero sempre maggiore di persone: nel 2019 abbiamo curato 233 sopravvissute alla violenza sessuale ed effettuato oltre 2.000 visite di salute mentale. Collaboriamo con il Ministero della Salute per formare le autorità competenti, che stanno iniziando a capire che la violenza sessuale è un’emergenza medica.

La nostra partnership con le associazioni locali e con la polizia forense è molto importante. Le aiutiamo a considerare questi casi come emergenze mediche, il che impedisce a chi sopravvive di essere nuovamente vittima di violenza o di dover rivivere gratuitamente l’episodio durante i colloqui con la polizia.

Aumentare la consapevolezza della comunità e delle organizzazioni locali in merito alle conseguenze della violenza sessuale e all’importanza del sostegno psicologico contribuisce anche ad evitare che le sopravvissute si sentano emarginate.

L’ultimo anno è stato molto difficile, con proteste, blackout e tagli alla fornitura di acqua e servizi telefonici. Ci sono troppe pressioni quotidiane perché una violenza sessuale sia una priorità rispetto ai bisogni immediati e urgenti, ad esempio trovare acqua o cibo sufficienti ogni giorno in condizioni sempre più difficili.

Qual è la situazione negli ospedali?

Con il passare del tempo curiamo casi sempre più complessi, causati da situazioni violente, che richiedono un trattamento psichiatrico. Inoltre, a causa del peggioramento della crisi, anche i problemi di salute mentale peggiorano.

Esiste un solo ospedale pubblico in cui i pazienti psichiatrici più gravi possono essere curati. Le condizioni in molti ospedali sono complicate e sta diventando sempre più difficile coprire le emergenze.

Alcuni non sono in grado di eseguire interventi chirurgici, i reparti e i servizi sono chiusi e il personale sanitario si sta spostando dai servizi pubblici a quelli privati. Molti operatori sanitari hanno lasciato il paese e quelli che ora prendono il loro posto sono più giovani e mancano di esperienza o competenze specializzate. In quel contesto stiamo anche cercando di contribuire alla formazione e all’assistenza psicologica degli operatori.

Sei a Caracas da gennaio. Com’è cambiata la situazione per la popolazione?

La gente si sente abbandonata, stanca e demoralizzata. La crisi dura da molto tempo e colpisce i più vulnerabili.  Aumenta sempre di più il numero di persone che lasciano il paese a causa delle difficoltà quotidiane e di queste sensazioni di impotenza e disperazione. Coloro che rimangono e quelli che se ne vanno provano tutti un enorme senso di colpa. Tutto ciò ha un effetto sulla salute mentale. C’è più ansia e più depressione.

È difficile per MSF lavorare in un ambiente così diviso dal punto di vista politico?

Raggiungere le persone in un contesto così polarizzato è difficile. La manipolazione dell’aiuto umanitario, di tutte le parti coinvolte nella crisi venezuelana, ha causato molti danni perché ha reso le persone più scettiche a fidarsi della neutralità, imparzialità e indipendenza delle organizzazioni che vengono ad aiutare per solidarietà, senza aspettarsi nulla in cambio. Ma a poco a poco, e lavorando con la comunità e le organizzazioni locali, ci stiamo conoscendo a vicenda e speriamo di conquistare la fiducia del popolo e delle istituzioni venezuelane.

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