Mi chiamo Silje Lehne Michalsen e sono un medico e un operatore umanitario di Medici Senza Frontiere.Il 2 giugno sono partita per la mia prima missione con MSF in un ospedale di Bo in Sierra Leone, dove avrei dovuto lavorare per la febbre di Lassa, una malattia sconosciuta e dimenticata e meno pericolosa dellEbola.
Il primo caso di Ebola in Sierra Leone è stato registrato solo alcuni giorni dopo il mio arrivo nel Paese.Nei mesi successivi, lepidemia si è diffusa rapidamente in tutto il Paese e il mio lavoro in ospedale da allora ha sempre più avuto a che fare con questo virus. Abbiamo costruito un nuovo Centro per il Trattamento dellEbola a Bo, dove ho lavorato per le ultime due settimane prima di ammalarmi.
Sabato 4 ottobre, dopo la fine del mio turno di lavoro non mi sono sentita bene. Mi sono misurata la temperatura e avevo la febbre. Mi sono subito isolata nella mia stanza e mi sono fatta il test per la malaria risultando negativa. Il giorno dopo mi hanno prelevato un campione di sangue per farlo analizzare e mi hanno diagnosticato la positività allEbola. Il giorno seguente ero già in viaggio per Oslo allinterno di una specie di incubatrice ermetica che mi isolava proteggendo lo staff che mi stava accompagnando. Sono grata di essere stata evacuata in tempi così rapidi ed efficienti.
A Ullevål sono stata accolta da un team fantastico di medici e di infermieri che mi hanno curata al meglio fornendomi trattamento, supporto e incoraggiamento. Sono veramente grata delle cure ricevute.
Oggi sto bene e non sono più contagiosa. Mi sento veramente fortunata. La gente ammalata di Ebola in Africa vive unesperienza del tutto diversa dalla mia.
Avere lEbola in Africa occidentale non significa solo patire i sintomi. Significa anche perdere i propri cari, le proprie sorelle, i propri padri così come i propri vicini di casa. Significa essere un bimbo di sei anni in ospedale senza avere attorno a te un viso familiare. Significa anche essere stigmatizzati per aver contratto il virus o essere isolati in tende caldissime su letti scomodi e avere pazienti moribondi intorno a te. E tutto ciò solo se sei abbastanza fortunato a entrare nel centro.
In totale ho trascorso tre mesi a Bo e durante questo periodo mi accorgevo che lEbola sempre più si avvicinava alla città dove stavo e allospedale dove lavoravo, diffondendosi sempre più nel resto del Paese. Per tre mesi non ho vista alcuna risposta dalla comunità internazionale. Sono stati tre mesi di crescente ansia e frustrazione. Ogni giorno che passava ci sentivamo tre passi indietro. Ogni giorno che passava, il numero di persone infettate aumentava e ogni giorno che passava pensavo che fermare lepidemia fosse più difficile del giorno precedente.
Tutti noi capivamo che era una corsa contro il tempo, ma il mondo non reagiva. Non accadeva nulla e ci sentivamo inermi con il numero di malati di Ebola che aumentava.
Oggi, le parole stanno iniziando a diventare fatti e risposte, non solo parole e soldi. Questo è un bene, ma è passato troppo tempo. Vorrei che il mondo si fosse mosso prima, diversi mesi fa
in questo caso la battaglia contro lEbola sarebbe stata molto più facile da vincere. Molte vite e molte famiglie sarebbero state risparmiate.
Il tempo stringe e sempre più persone stanno morendo. Dobbiamo agire e dobbiamo farlo ora.
Vedo che molte persone si sono offerte volontarie per andare in Africa occidentale. Sono molto contenta che il mio contagio non vi abbia spaventato. Vorrei ringraziare tutti voi e augurarvi buona fortuna.
Infine, vorrei anche ringraziare la mia famiglia e gli amici che mi hanno sostenuto in queste settimane. Grazie a MSF per tutto l’aiuto che ha fornito a me e alla mia famiglia. Grazie allospedale di Ullevål per il trattamento eccellente che mi ha fornito.
Grazie ai media per aver rispettato il mio desiderio di rimanere nellanonimato. Oggi sono disponibile e spero di poter rispondere alle vostre domande. Dopo di che, desidererei non più essere sotto i riflettori. Al contrario, invece, vi chiedo di spostare la vostra attenzione sulle storie reali e i veri problemi che sta vivendo in questo momento lAfrica occidentale, non la Norvegia.
La mia prima missione non si è rivelata come mi aspettavo andasse, ma spero di essere in grado di tornare al più presto sul campo. Grazie.