Il cibo terapeutico dovrebbe essere considerato una medicina essenziale

In Niger gli operatori di Medici Senza Frontiere tratteranno almeno 30mila bambini gravemente malnutriti quest’anno. La maggior parte di loro sarà curata ambulatorialmente senza bisogno di ricovero. Il dottor Milton Tectonidis – specialista in nutrizione appena rientrato da una missione nei centri nutrizionali di Maradi, Tahoua e Aguie – spiega come la possibilità di assistere i bambini senza ricoverarli consenta a MSF di salvarne molti di più.

In che modo le innovazioni nel trattamento della malnutrizione hanno aiutato MSF a fronteggiare l’attuale emergenza in Niger?

Stiamo riuscendo ad assistere gran parte dei bambini gravemente malnutriti senza bisogno di ricoverarli: tutti i pazienti che sono ancora in grado di deglutire e che non presentano altre patologie gravi vengono nell’ambulatorio una sola volta a settimana. A ogni visita ci accertiamo che non siano insorte complicazioni e consegniamo alle loro famiglie due razioni giornaliere di Plumpy-Nut: un cibo terapeutico altamente nutritivo e pronto da consumare.

Le mamme dei pazienti ricevono anche delle razioni supplementari di Unimix (una farina speciale arricchita con vitamine e sali minerali) e olio da cucina per tutta la famiglia.

Il Plumpy-Nut è un cibo specializzato che contiene tutti i macro e i micro nutrienti nelle giuste quantità e bilanciati per favorire una rapida crescita dei bambini malnutriti. Solo i bambini che non ce la fanno nemmeno a succhiare questa pasta o che sono colpiti da complicazioni gravi vengono ricoverati in unità specializzate dove ricevono le cure necessarie fino a quando non sono in grado di alimentarsi da soli.

L’assistenza ambulatoriale non significa che i bambini presentano una forma di malnutrizione meno grave. E’ una possibilità in più che permette di assistere più bambini.

Già 20 o 25 anni fa in India, dove i tassi di malnutrizione tra i bambini delle bidonville erano altissimi, si era sperimentato che distribuendo misture di lenticchie e altri alimenti si ottenevano risultati analoghi a quelli ottenibili con l’ospedalizzazione. Ma nessuno ha seguito quella strada fino a quando – nel 2002 – un editoriale di Steven Collins pubblicato su Lancet sollevò un ampio dibattito sul trattamento domiciliare dei bambini gravemente malnutriti.

La vera svolta c’è stata con la comparsa dei nuovi alimenti specializzati. Il Plumpy-Nut per esempio è molto facile da somministrare: è distribuito in pacchetti mono-dose che i bambini devono semplicemente succhiare, ha un buon sapore e non deve essere cotto né sciolto in acqua, non c’è dunque il rischio che il cibo diventi nocivo a causa dell’acqua contaminata, come avveniva in precedenza con il latte, che per questo veniva somministrato solo sotto controllo medico e mai distribuito per l’assunzione a domicilio.

Quale è stato l’impatto di questi nuovi strumenti in Niger?

Senza questi nuovi cibi terapeutici non avremmo potuto trattare tutti i bambini che stiamo trattando oggi. Probabilmente ci saremmo dovuti limitare ad aprire solo tre o quattro centri nutrizionali a Maradi.

L’ultima volta che MSF ha affrontato una grave crisi nutrizionale senza potere assistere i pazienti a domicilio è stato nel 2002 in Angola, a Caala: all’epoca riuscimmo a curare 8.600 bambini in tre centri nutrizionali. Oggi in Niger, nell’area di Maradi e dintorni, ne abbiamo già assistiti 16mila e contiamo di arrivare a 30mila entro la fine dell’anno: tutto questo grazie alla possibilità di assisterne molti senza ricoverarli.

In che modo le autorità del Niger e degli altri Paesi colpiti da emergenze nutrizionali potrebbero alleviare almeno in parte le sofferenze croniche associate alla malnutrizione?

Oggi tutti parlano delle radici e della cronicità delle emergenze alimentari in Sahel. E’ un dibattito che non finirà mai. Ma lavorando sul campo ci siamo fatti un’idea di come si potrebbero affrontare in modo più efficace queste emergenze: dal punto di vista medico sarebbe essenziale che i cibi terapeutici altamente specializzati (come il Plumpy Nut o il BP100) fossero integrati nei servizi normalmente offerti dalla sanità pubblica dei paesi a rischio. Dovrebbero essere considerati farmaci essenziali, così come gli antiretrovirali per la lotta all’Aids o le terapie combinate a base di artemisia (ACT) contro la malaria. Le scorte dovrebbero essere disponibili senza bisogno di arrivare ad emergenze spaventose come quella in corso.

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