Il colera una malattia del passato? Non ne siamo sicuri.

Niente di meno vero: per le equipe MSF in numerosi Paesi questa malattia rappresenta sempre una sfida maggiore. Perché, per definizione, il colera colpisce le comunità più povere del pianeta. Le epidemie di colera sono dichiarate sempre in posti dove le infrastrutture sanitarie e le capacità di approvvigionamento d’acqua sono più precarie. E’ il caso di zone rurali e urbane poverissime, come dei campi di rifugiati. Nonostante sia facilmente curabile, l’individuazione della sorgente di contagio del colera e la reazione tempestiva rappresentano le due variabili maggiori da cui dipende la salvezza di molte vite.

Cos’è il Colera ?
Il Colera è un’infezione intestinale acuta provocata dal batterio “Vibrio cholerae”, il cui periodo d’incubazione varia tra uno e cinque giorni. I sintomi principali sono la diarrea liquida e il vomito , che a causa della loro frequenza e intensità causano grave disidratazione e rapida morte del malato non curato.

Il batterio è veicolato dagli escrementi umani e trasmesso attraverso l’acqua , certi alimenti contaminati e più raramente per contagio interpersonale (mani sporche portate alla bocca), in ogni caso il ciclo è legato a uno scarso controllo igienico: per fare un semplice esempio, persone infettate defecano in prossimità di un corso d’acqua, altri bevono quell’acqua più a valle e vengono contaminati.

Circa 100.000 casi di colera sono riportati ogni anno dall’OMS. Anche se il numero dei casi sembra diminuito negli ultimi anni, il numero dei decessi è aumentato, fino a 2.345 nel 2004. Aumento imputabile alla difficoltà di identificare i casi rapidamente e dunque trattarli in tempo.

Inoltre è probabile che certi Paesi non dichiarino tutti in casi di colera osservati, per allontanare la minaccia economica che rappresenta un’epidemia. Infatti per timore della contaminazione delle esportazioni alimentari, ai Paesi colpiti sono a volte imposte restrizioni sul commercio e sul turismo.

Nel 2004, il 94% dei casi di colera registrati nel mondo sono stati dichiarati in Africa (continente a lungo immune da epidemie fino agli scorsi anni ’70). Tutti gli altri riguardavano l’Asia (soprattutto il subcontinente indiano) e solo qualche caso è stato registrato in America Latina. Quelli registrati nei Paesi occidentali riguardavano generalmente immigrati che avevano importato la malattia dal Paese di origine.

Come reagire a un’epidemia di colera ?
Di fronte a un’epidemia di colera alle equipe MSF si pongono due sfide maggiori: trattare i malati e interrompere il ciclo dell’infezione.

Se non trattato il colera uccide le sue vittime in pochi giorni o poche ore in casi estremi. Peraltro, se diagnosticata in tempo, la malattia è facilmente trattabile.

I pazienti ricevono una soluzione di re-idratazione per via orale allo scopo di rimpiazzare i liquidi perduti con diarrea e vomito. Dopo qualche giorno il corpo si è liberato di tutti i germi e la persona è guarita. Nei casi più gravi, quando il paziente non è in grado di ricevere una soluzione orale, si procede a perfusioni intravenose . Gli antibiotici non sono utilizzati che in corso di grandi epidemie, al fine di accelerare i tempi della diminuzione della carica batterica, permettendo così di liberare più rapidamente i letti nei centri di trattamento.

Per offrire queste vitali cure di base, MSF realizza generalmente un Centro di trattamento del Colera (CTC). A volte tale servizio è costruito in una parte isolata di un centro di salute esistente, a volte si tratta di una struttura indipendente in prossimità del centro dell’epidemia (come all’interno di un campo profughi). L’ isolamento e l’ igiene sono gli elementi chiave per prevenire la propagazione dell’infezione. Si ricorre a dei bagni in acqua clorata per disinfettare il corpo dei pazienti quando sono ammessi al CTC. Anche il personale può lasciare il CTC solo dopo aver disinfettato mani, piedi e calzature.

MSF è in grado di montare un CTC in pochi giorni, non importa in quale parte del mondo, grazie e dei “kit colera” pronti all’uso. Questi vengono inviati a volte dalle sedi operative MSF, ma nelle regioni altamente endemiche, soggette ad epidemie stagionali, le equipe MSF sono pronte a rispondere direttamente a partire dal proprio stock locale.

Il “Kit Colera” permette dunque a MSF di affrontare un’epidemia imminente. Contiene 4.000 litri di soluzione per perfusioni, antibiotici, teli plastificati, sapone, disinfettante e cloro, guanti per il personale curante. E’ concepito per trattare 625 pazienti e costa 14.876 euro, cioè 24 euro a persona.

In numerosi contesti, nelle zone colpite vengono attrezzati diversi piccoli centri o cliniche mobili che svolgono il ruolo di unità di sorveglianza, oltre a fornire soluzioni di re-idratazione per i casi meno gravi e indirizzare i malati più gravi al CTC principale.

Laddove il colera non è una malattia corrente, la formazione dell’equipe medica è spesso una priorità, particolarmente in materia di re-idratazione. Gli infermieri non sono infatti generalmente formati alla somministrazione di così importanti quantità di liquidi per via intravenosa.

Come interrompere il ciclo dell’infezione ?
Se non si attacca l’infezione alla radice, le contaminazioni diventano sempre più numerose e la parte curativa dell’intervento si fa più complicata. Dunque è essenziale prevenire le nuove infezioni. A tale scopo MSF fa appello ai propri logisti e agli esperti in gestione dell’acqua, igiene e bonifica. Le misure sono diverse a seconda del contesto, ma l’obiettivo comune è che la popolazione abbia accesso ad acqua potabile (normalmente ne sono necessari 15 litri al giorno per persona) e che le acque utilizzate non costituiscano una minaccia.

Esaminando i casi di malattia in una zona determinata, gli esperti possono identificare la sorgente principale dell’epidemia . Nel migliore dei casi arrivano ad individuare un denominatore comune tra tutte le persone infettate, come per esempio l’utilizzazione dello stesso pozzo, delle stesse latrine o della stessa riserva alimentare.

Una volta che la fonte di infezione viene identificata, strumenti idonei sono utilizzati per ridurre i rischi, come clorare l’acqua alla sorgente o al punto di approvvigionamento, costruire nuove latrine o sistemi di smaltimento delle acque usate , limitare l’accesso a una zona specifica, mostrare alla popolazione come si possono amministrare i rifiuti e l’alimentazione in condizioni di sicurezza.

In luoghi delimitati, come un campo rifugiati, è relativamente facile per i logisti garantire la salubrità dell’acqua attrezzando un sistema di depurazione, intallando dei serbatoi d’acqua o clorando quella disponibile in loco. In questo genere di situazione, il controllo della gestione delle acque usate è molto più agevole. Possono inoltre essere intraprese attività di ricerca attiva dei casi di colera, per esempio attraverso il passaggio porta a porta.

In zona urbana è invece più difficile identificare il ciclo dell’infezione, a causa della moltiplicazione dei centri epidemici. Stabilire l’eventuale ruolo degli alimenti, dell’acqua da bere e delle acque usate quali possibili vettori della malattia costituisce una sfida enorme, soprattutto nei luoghi sovrappopolati dove gli abitanti sono molto mobili. Lo scenario peggiore è il tentativo di stabilire la fonte o le fonti d’infezione in una bidonville, dove il sistema d’approvvigionamento dell’acqua e quello di smaltimento delle acque usate sono costruiti a caso; si tratta di un compito estremamente complesso.

Nelle aree rurali, con le popolazioni distribuite su vasti territori, è molto difficile determinare il centro dell’epidemia. Spesso è impossibile controllare tutti i siti presso cui la gente si rifornisce d’acqua. E in questo caso è più efficace assicurarsi che chi prende l’acqua la disinfetti col cloro. Le aree molto estese costituiscono anche un ostacolo all’identificazione di nuovi casi. Le equipe mediche devono dar prova di estrema mobilità e la possibilità di inviare malati al CTC richiede una maggiore organizzazione logistica.

Il trattamento è completato da uno sforzo di sensibilizzazione riguardo all’igiene personale. Gesti semplici, come lavarsi le mani prima e dopo la manipolazione del cibo, possono evitare la contaminazione di un intero nucleo familiare. La distribuzione di sapone, dunque, è spesso un elemento cruciale dell’intervento contro il colera.

Molte volte le equipe mediche debbono anche intervenire a livello di abitudini funerarie. I cadaveri vanno disinfettati, chiusi in sacchi di plastica e sepolti rapidamente dopo il decesso. Il lavaggio rituale dei corpi e la visita dei familiari originari di altre regioni costituiscono i due principali fattori di diffusione dell’epidemia.

Quando il Colera apparterrà veramente al passato ?
Per quanto MSF abbia sviluppato dei metodi oltremodo efficaci per reagire alle epidemie di Colera, i casi mortali sono inevitabili. Ma l’intervento rapido può considerevolmente limitare il numero di decessi e ridurre l’impatto dell’epidemia.

Tuttavia, le epidemie di Colera debbono in primo luogo richiamare l’attenzione sulla povertà e sul tenore di vita delle popolazioni colpite.
Il Colera, “malattia delle povertà” , potrà essere debellato solo se si troveranno degli strumenti che combattano la sua principale causa: la povertà. Solo ponendo fine alla condizione di povertà, la battaglia contro il colera potrebbe risolversi con una vittoria.

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