Katanga. Repubblica Democratica del Congo.

 

 

Ngombe Kangula è il capo di Kitondwa, un villaggio del Katanga nord-orientale, la grande provincia ricca di risorse minerarie della Repubblica Democratica del Congo. Oggi sta accasciato sotto un albero in un angolo del Camp II, uno dei tre campi sfollati costruiti da Medici Senza Frontiere nei dintorni della cittadina di Dubie, nella parte nord-orientale della provincia.

Non è l’unico. Nella sola Dubie è arrivata un’ondata di oltre 18.000 sfollati costretti ad abbandonare le loro case, tra questi anche tutti gli abitanti del villaggio di Ngombe Kangula, ormai ridotto a un cumulo di macerie incenerite. Secondo le stime di MSF, negli ultimi mesi, sono sfollate oltre 90.000 persone nelle aree in cui è attiva l’organizzazione.

La fuga di Ngombe Kangula è la conseguenza degli scontri avvenuti nel novembre scorso tra l’esercito nazionale congolese, il FARDC, e gruppi di miliziani conosciuti sotto il nome di “Mai-Mai”, che occupano vaste aree del nord dell’Uganda. Questi scontri hanno costretto gli abitanti dei villaggi a cercare rifugio nella boscaglia, in ripari di fortuna, abbandonando le loro case e mettendo così a repentaglio le loro vite e la loro salute.

 

È esattamente quello che ha fatto Ngombe Kangula nel giugno del 2005. “Abbiamo vissuto nella boscaglia per sei mesi perché eravamo troppo impauriti per tornare al nostro villaggio” spiega mentre poco lontano un altro abitante del villaggio, intento a costruire un riparo, continua a martellare. “Ho perso mia moglie perché non c’erano medicine” Mi è rimasto solo un figlio, gli altri quattro sono morti”.

La sua storia non è insolita tra gli sfollati di Dubie. A novembre, l’offensiva sferrata dal FARDC ha costretto alla ritirata i Mai-Mai, ponendo fine a mesi di vessazioni, durante i quali la popolazione è stata essenzialmente tenuta in ostaggio: troppo impaurita per far ritorno a casa, ma anche impossibilitata a raggiungere la relativa sicurezza di Dubie.

La vita nella boscaglia ha fatto molte vittime. Prive di ripari adeguati e di cure sanitarie, molte persone hanno contratto malattie come la malaria e la gastroenterite. Anche camminare per 150 chilometri nella boscaglia per raggiungere Dubie è costato parecchie vite.

“Le condizioni di salute di molti sfollati sono terrificanti” spiega Goedele Van Bavel, coordinatore di progetto per MSF nell’area. “Sono arrivati in tantissimi senza niente, a volte senza neanche i vestiti. A novembre, quando è arrivata la prima grande ondata di sfollati, abbiamo fatto immediatamente il triage e molte persone versavano in condizioni così terribili che sono dovute andare subito all’ospedale. Abbiamo anche notato che c’erano pochissimi bambini al di sotto di un anno di età. Sono i più vulnerabili e la maggior parte non era sopravvissuta a questa prova”.

Gli sfollati vengono ospitati in tre campi sovraffollati, predisposti velocemente da MSF nella periferia di Dubie. Muniti di strumenti indispensabili, come le lamiere di plastica, gli sfollati sono andati in giro a costruire ripari provvisori a ritmo sostenuto. La carenza di cibo ha ulteriormente aggravato le sofferenze nei campi.

Per settimane, non essendo disponibili le scorte alimentari promesse, la gente si è ridotta a masticare le bucce, in realtà non commestibili, del cassava , una radice commestibile che rappresenta l’alimento base della regione. A metà gennaio sono maturati dei grandi funghi selvatici che hanno dato un temporaneo sollievo alla popolazione; tuttavia l’assenza di una distribuzione alimentare su vasta scala è veramente preoccupante.

Sebbene le cifre non abbiano ancora raggiunto livelli allarmanti, il flusso ininterrotto di bambini sotto i cinque anni gravemente malnutriti che arrivano ai centri nutrizionali terapeutici di MSF nella regione è un sintomo della preoccupante crisi alimentare. A Dubie è stata montata una grande tenda che funge da ambulatorio per far fronte al numero straripante di pazienti.

Il flusso di sfollati ha quasi triplicato la popolazione di Dubie nello spazio di tre mesi mettendo a dura prova le risorse esistenti. Ma ormai gli sfollati arrivano sempre meno numerosi e i team di MSF stanno iniziando a riprendere il controllo della situazione. “Adesso la nostra paura più grande è un’epidemia di colera” spiega Goedele. “Abbiamo concluso una campagna di vaccinazione contro il morbillo all’interno dei campi ma con una concentrazione di gente come questa la minaccia del colera è sempre in agguato”.

In altre parti del Katanga il colera ha colpito con effetti devastanti. Nella zona di Kikondja, vicino all’Upemba Park, MSF ha trattato 770 casi nelle ultime tre settimane. L’epicentro è stato nel villaggio di Mangui con 473 casi in 19 giorni. Senza assistenza, il colera uccide fino al 50% di coloro che ne sono colpiti. È mortale soprattutto tra i giovani, gli anziani e coloro che versano in cattive condizioni di salute.

Mentre sembra che la situazione a Dubie sia più tranquilla, i team di MSF presenti in altre parti del Katanga stanno affrontando le conseguenze degli scontri. MSF fornisce cure sanitarie di base e generi di prima necessità in molte delle aree più colpite del Katanga centrale tra cui Mitwaba, Nyonga e Mukubu.

“I combattimenti si stanno spostando verso sud-ovest e noi vediamo sempre più sfollati. Nei dintorni dell’Upemba Park l’insicurezza è arrivata a un punto tale che non possiamo neanche distribuire alla gente generi di prima necessità per paura che questo attiri i saccheggiatori” spiega il capo missione di MSF Jean-Guy Vataux. “Anche portare gli aiuti fin qui è un incubo. Le strade sono pessime e molte società di trasporti non arrivano in quest’area. Di fatto tutta la popolazione, per decine di chilometri a est del lago Upemba, è stata sfollata. È una situazione terribile e con l’intensificarsi dei combattimenti potrebbe peggiorare”.

James Lorenz

 

 

 

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