Repubblica Centrafricana: fuga per la vita in Ciad o nei boschi.

 

 

Giugno 2005-maggio 2006 – Da sei mesi Prospere vive con la famiglia nella boscaglia. Hanno abbandonato il loro villaggio quando, quattro giorni dopo Natale, è arrivato l’esercito e ha bruciato tutte le case uccidendo un uomo. Ora Prospere e i suoi familiari, 13 in tutto, vivono in due piccoli rifugi che hanno costruito a 5 chilometri, all’interno della boscaglia. Prospere è “fortunato” perché ci sono altre persone del suo villaggio che si nascondono molto più in là nella boscaglia, fino a 15 chilometri di distanza dal villaggio nativo. Tutta questa gente, se vuole l’acqua, deve tornare al villaggio a piedi per trovare una pompa dell’acqua.

I rifugi nella boscaglia sono spartani: un “muro” circolare fatto di paglia intrecciata alla meglio e per tetto altre fascine di paglia. Questi ripari non tengono alla larga la pioggia, il caldo e le zanzare, e poiché hanno solo due metri di diametro sono incredibilmente affollati. Gli abitanti del villaggio vogliono tornare alle loro case ma non possono, hanno ancora troppa paura. Prospere non è il solo a essere fuggito. Negli ultimi sei mesi si stima che 50mila persone siano state costrette ad abbandonare le loro case per la paura.

Circa 20mila persone hanno superato il confine con il Ciad, il rimanente si è rifugiato nella boscaglia. Quando si viaggia attraverso le zone settentrionali della Repubblica Centrafricana (RCA), vi sono ampi tratti di strade deserte lungo le quali ogni villaggio che si incontra è stato abbandonato dalla popolazione, è un villaggio fantasma.

Di tanto in tanto si vede una valigia abbandonata sulla strada, lasciata in tutta fretta da qualcuno che si è rifugiato nella foresta non appena ha sentito arrivare un veicolo, oppure si vede qualcuno in lontananza che fugge correndo. Una donna che si è rifugiata nella boscaglia racconta: “Ero a casa mia, nel villaggio, quando sono arrivati: tutto il villaggio temeva che ci sarebbero stati degli assalti perché sapevamo che qualche giorno prima c’era stato un attacco dei ribelli. Perciò, quando ho sentito arrivare il veicolo, sono scappata con i miei tre figli.

Ci siamo portati dietro solo i vestiti che avevamo indosso. Tutto il resto dei nostri averi è stato bruciato”. Molti hanno paura di restare nella zona oppure sperano che la vita in un campo profughi sia leggermente migliore che nella boscaglia e se ne sono andati in Ciad. “Sono arrivati nel mio villaggio, hanno sparato a tutti”, racconta un uomo residente a Goré. “Ci sono stati molti feriti. Io sono fuggito, con mia moglie. È stato durante la fuga che mi hanno sparato tre volte: alla coscia, al braccio e al viso. Sono stato fortunato, mia moglie mi ha portato al confine su un “push push” (carretto) ma qualcun altro è morto.

E tutti hanno abbandonato il villaggio, ora là non c’è più niente. Molti sono qui al campo. Io non tornerò – non posso correre per cui se tornassero di nuovo mi ucciderebbero”. Vivere con meno di un dollaro al giorno Paura e violenza sono a livelli spaventosi in questa regione e le condizioni di coloro che vivono nella foresta incredibilmente dure. Tuttavia le violenze sono solo l’ultima delle tante difficoltà incontrate dai civili in questo paese. Attualmente il 67% della popolazione (e quasi il totale della popolazione delle aree rurali) vive in totale povertà, con meno di un dollaro al giorno. La maggior parte delle persone non supera la soglia dei 42 anni. Un bambino su cinque non arriva al quinto compleanno. Una violenta forma di banditismo dilaga da tempo nel paese.

Le recenti violenze registrate nell’area non hanno fatto altro che peggiorare la situazione: la gente che vive nella boscaglia è molto più vulnerabile alle malattie e al contempo ha un accesso all’assistenza sanitaria inferiore rispetto a quella che aveva nei piccoli villaggi di origine. Anche prima delle violenze, in questa regione c’era solo un medico ogni 90mila persone. Prima c’erano postazioni sanitarie locali con un infermiere o un farmacista.

Ora, in seguito alle recenti violenze e a quelle verificatesi nel corso dei combattimenti del 2003 e 2001, sono state chiuse. Nella zona in cui MSF è operativa le postazioni sanitarie sono tutte chiuse tranne un paio. Anche quando l’assistenza sanitaria è disponibile, non è gratuita. Si deve pagare per l’assistenza sanitaria e pochissime persone possono permetterselo. Ora che MSF fornisce assistenza medica, i pazienti arrivano da posti incredibilmente lontani, alcuni camminano anche per 70 chilometri pur di arrivare alle cliniche di MSF.

Non hanno altra scelta. Janet Raymond, infermiera e ostetrica di Goré, in Ciad, ne ha curati molti: “La gente ha perso tutto nella fuga: le case, i pochi averi, le sementi. Le scuole dei villaggi sono chiuse, le postazioni sanitarie sono chiuse, interi villaggi sono deserti. Nei posti in cui vivono, nascosti nella boscaglia, sono incredibilmente vulnerabili alle malattie e al pericolo di nuovi attacchi. La cosa peggiore è vedere la gente così spaventata, così atterrita che ancora adesso scappa appena sente arrivare una vettura. Noi curiamo il maggior numero di persone possibile, nelle nostre cliniche arrivano a centinaia dalla boscaglia, ma ciò di cui hanno veramente bisogno è di poter tornare a casa”.

Ma per adesso sono troppo spaventate. Perciò rimangono nei campi profughi del Ciad meridionale, oppure devono sopportare condizioni di vita durissime nella boscaglia della RCA settentrionale, in attesa che cessino le violenze. “Perché tornerei?” Si chiede un rifugiato di Goré. “Voglio andare a casa ma non vale la pena farsi ammazzare per questo”. Le attività di MSF nella RCA MSF gestisce varie cliniche mobili nelle aree intorno Markounda, Paoua e Batagafo/Kabo.

Queste cliniche effettuano centinaia di visite a settimana. MSF fornisce assistenza ai degenti negli ospedali di Paoua e Boguila e nella clinica di Markounda, curando ogni settimana decine di pazienti. Vicino Goré, Ciad meridionale, MSF offre assistenza in due cliniche mediche a 15mila rifugiati provenienti dalla RCA settentrionale, e fornisce inoltre il rifornimento idrico e le infrastrutture fognarie.

MSF è operativa nella Repubblica Centrafricana dal 1997.

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