Sudan-Ciad: i rifugiati del Ciad in Darfur.

 

Dalla fine di gennaio un flusso ininterrotto di persone provenienti dal Ciad si sta riversando in Sudan, nella regione occidentale del Darfur, che si trova ancora nella morsa delle violenze e dell’instabilità. Oltre 7.000 persone in fuga dalle violenze e dai saccheggi in Ciad si sono rifugiate in un piccolo villaggio a nord di El Geneina, capitale del Darfur occidentale. In quest’area, trascurata dalle organizzazioni umanitarie, Medici Senza Frontiere (MSF) fornisce loro assistenza.

All’inizio di febbraio, centinaia di famiglie provenienti dal Ciad hanno cominciato ad arrivare nel piccolo villaggio di Gellu, situato a circa 30 chilometri a nord ovest di El Geneina. Saputo del loro arrivo, il 5 febbraio i team di MSF sono arrivati nell’area, vicina al confine con il Ciad, per verificare i bisogni della popolazione e hanno contato più di 300 famiglie raccolte sotto ripari provvisori. Erano state costrette a lasciare i loro villaggi con il solo ausilio di qualche asino. I 2.500 abitanti di Gellu hanno portato i primi soccorsi, cibo e un posto per dormire. Le notti sono fredde, i wadi (torrenti) sono prosciugati e i venti fortissimi.

Centinaia di famiglie in pericolo

“Non avevano coperte, utensili per cucinare, secchi, taniche, stuoie e rivestimenti di plastica per coprire i ripari” dice Michael Neuman, capo missione di MSF. “Ma le famiglie avevano soprattutto bisogno di acqua potabile”. Il team che ha condotto il sopralluogo per verificare i bisogni della popolazione non ha rilevato gravi problemi di ordine medico o di malnutrizione. Tuttavia la popolazione non è vaccinata, in particolare contro il morbillo, ed è ancora più vulnerabile in quanto non può più accedere alle cure sanitarie. L’organizzazione medica che dall’estate del 2005 aveva sostenuto il villaggio, alla fine dell’anno ha smesso di inviare rifornimenti a causa dell’insicurezza perdurante nella regione.

Il team di MSF ha organizzato in brevissimo tempo una campagna di vaccinazione contro il morbillo, con i vaccini forniti dal ministero della Sanità, e ha distribuito generi di prima necessità forniti dall’ONU: il fatto di dipendere dall’ONU per la distribuzione ha comportato un ritardo di un giorno. “Malgrado tutto siamo riusciti in due giorni a vaccinare 700 bambini e a distribuire coperte, taniche, secchi, indumenti, stuoie e altri generi di prima necessità” dice Neuman. Negli stessi giorni è stato installato un sistema di distribuzione di acqua potabile.

Continuano ad arrivare centinaia di famiglie, formate da donne, bambini e anziani. Diversi giorni dopo la nostra prima visita, il nostro team ha contato 1500 ripari a Gellu. Il 19 febbraio sono arrivate altre 800 famiglie dal Ciad. Altre sono in viaggio. Sono tutte dirette al villaggio, che si è fatto rapidamente la fama di posto relativamente tranquillo, dove trovare finalmente quegli aiuti di cui le famiglie sono state a lungo prive. La presenza intorno al villaggio dell’esercito sudanese e di numerose milizie sembra dare ai nuovi arrivati un senso di sicurezza.


Prestiamo i primi soccorsi e ci accertiamo che vengano portati avanti

“Per far fronte ai bisogni della popolazione priva di assistenza, abbiamo operato in una situazione di emergenza” dice Neuman. “Tuttavia le dimensioni delle nostre operazioni a favore di sfollati, residenti e popolazioni nomadi del Darfur occidentale e delle aree controllate dai ribelli, ci impediscono di avviare altri progetti umanitari perché vogliamo essere in grado di far fronte ad altre possibili emergenze. Perciò dobbiamo fare in modo che altre agenzie umanitarie continuino a fornire gli aiuti a queste popolazioni. Sebbene vi siano numerose organizzazioni umanitarie a El Geneina, solo poche sono disposte a lasciare la città. In quest’area la paralisi che affligge le agenzie umanitarie è evidente”. Le tensioni intorno al vicino confine, gli attacchi contro i convogli umanitari e i movimenti dei gruppi armati all’interno della regione, tutti questi fattori determinano una mancanza di azione da parte delle organizzazioni.

Il processo avviato da MSF ha avuto risultati immediati. Dopo aver contattato le agenzie ONU e le organizzazioni non governative, siamo stati in grado di svincolarci in modo graduale dal campo. “Abbiamo trasferito ad altri il sistema di rifornimento idrico” dice Neuman. “Si parla addirittura di scavare nuovi pozzi. Altre organizzazioni si assumeranno la responsabilità delle cure sanitarie e delle vaccinazioni. Speriamo inoltre che provvederanno a effettuare ulteriori distribuzioni di rifornimenti e, se fosse necessario, di alimenti.

Condividi con un amico