Di notte non riesco a dormire perché non so cosa accadrà a me e ai miei figli

La nostra relazione alla Commissione parlamentare di Inchiesta sul sistema di accoglienza

Nola Aniba Tito, 27 anni, è una delle interpreti che lavorano nel centro sanitario di MSF nell’area Ofua 3, all’interno del campo rifugiati Rhino. Originaria di una città della regione di Equatoria, a luglio 2016 è fuggita con i suoi figli dalle violenze in Sud Sudan e ha cominciato a lavorare con MSF a marzo 2017. Dato che l’86% di tutti i rifugiati sud-sudanesi in Uganda sono donne e bambini, Nola è una delle tante capofamiglia donne.

Vivevo con i miei due figli e aspettavo un altro bambino. Mio marito era a Juba. Nel mio quartiere, tutti stavano fuggendo perché ormai rapimenti di minori, stupri, saccheggi, matrimoni forzati e uccisioni tra le tribù erano all’ordine del giorno. Le scuole sono state attaccate e i bambini sono stati macellati come polli. Inoltre, non c’era accesso all’assistenza sanitaria, soprattutto dopo che molte ONG hanno lasciato il Paese.

Un giorno, alcuni uomini hanno bussato alla nostra porta minacciando di aprirla. Ero molto spaventata e non ho aperto, ma mi sono avvicinata con cautela alla finestra e ho visto che avevano delle armi. Ho pianto e ho gridato così tanto che i vicini sono intervenuti e gli uomini sono andati via. In quel momento ho deciso di lasciare subito la mia casa, senza portare nulla, con i miei figli e tre figli di mio fratello, che non poteva venire.

Anche lungo la strada per l’Uganda, vi sono violenze e uccisioni, per questo mio fratello è ancora in Sud Sudan. Sono stata fortunata ad arrivare in Uganda. Ma all’arrivo nel campo rifugiati non abbiamo trovato né acqua, né cibo, né assistenza sanitaria. A volte non c’era acqua per più di una settimana. Come si può vivere senz’acqua?

Ho anche dovuto camminare molto per raggiungere l’ospedale, al di fuori del campo, per partorire il mio bambino, che ora ha sette mesi. Non avevamo nulla, nemmeno un centesimo per comprare il cibo o pagare il trasporto in ospedale. Per questo l’avvio dei servizi sanitari di MSF nel campo è stato di enorme aiuto per le persone. MSF mi ha aiutato anche in termini di opportunità di lavoro.

Dopo essere stata assunta come interprete per MSF la mia vita è cambiata. Ho usato i miei guadagni per costruire una casa e comprare vestiti e cibo per i bambini. Quando lavoro riesco a non pensare a tutti i problemi che ho. Ma di notte non posso smettere di pensare a quello che accadrà a me e ai miei figli. Ho anche paura che mi possa accadere qualcosa mentre dormo.

Nel campo rifugiati ci sono casi di violenza, abusi e stupri, ed essere un capofamiglia donna è pericoloso. Per questo non riesco a prendere sonno prima delle 2 o le 3 del mattino. Gli uomini spesso bevono, fumano e diventano violenti perché non hanno nulla da fare, non c’è lavoro, acqua o cibo a sufficienza. Conosco una ragazza di 15 anni che è stata violentata all’interno del campo e ha contratto l’HIV e l’epatite B. Alcune persone tentano persino il suicidio insieme a tutta la famiglia, perché preferiscono morire piuttosto che vivere in una situazione così disumana o tornare in Sud Sudan.

Sono anche molto preoccupata per il futuro dei miei figli. Se non avranno modo di andare a scuola, cosa faranno da grandi? Se MSF dovesse andar via e io perdessi il lavoro, di che vivrebbe la mia famiglia?”

 

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