Si era sparsa la voce che ero un medico, le persone venivano continuamente da me per farsi aiutare

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Quando è scoppiata la guerra in Yemen, Sana era all’estero: “Avevo appena finito di studiare medicina al Cairo e la mia famiglia mi aveva detto di rimanere lì al sicuro”. Le notizie che leggeva sui giornali l’hanno però spinta a ritornare a Taiz, uno dei luoghi più violenti di questo conflitto. Ora lavora nel reparto contro la malnutrizione dell’ospedale materno-infantile di MSF nella città, divisa dal fronte.
“Quando sono tornata a fine maggio 2015, vivevo con la mia famiglia nella nostra casa al centro di Taiz. Un giorno un proiettile ha colpito la finestra di una stanza dove io e mia sorella stavamo parlando di un libro. Ci siamo salvate per puro caso. A luglio ci siamo trasferiti: le strade erano piene di soldati e c’erano pesanti combattimenti nel quartiere. Rischiavamo di morire. Vicino a noi c’era un centro commerciale che veniva usato come base dai cecchini e ho visto morire un ragazzo di soli 18 anni. Non era un soldato, era solo un ragazzo disarmato e gli hanno sparato.
Il giorno dopo siamo partiti. Non abbiamo avuto tempo di portare via tutte le nostre cose, soltanto qualche vestito e i documenti più importanti. Siamo andati a casa di mio zio vicino all’Università di Taiz ma poi anche lì la situazione è diventata instabile e dopo sei settimane abbiamo deciso di spostarci fuori città, a casa dei miei nonni in un villaggio distante e lì siamo stati nove mesi. 
È stato un periodo molto frustrante: si era sparsa la voce che ero un medico e le persone venivano continuamente da me per farsi aiutare. Ma potevo fare ben poco, potevo comprare degli antibiotici ma non procurare farmaci come l’insulina o medicine per l’asma. Molti soffrivano di malattie della pelle perché vivevano in condizioni molto precarie in edifici fatiscenti, non potevano permettersi di comprare le medicine e a volte i miei genitori pagavano il loro trasporto fino all’ospedale di Sana’a, che distava sei-sette ore di auto. Un giorno ho incontrato una donna malata di cancro che non poteva essere curata al villaggio: le ho donato il mio anello d’oro perché potesse pagarsi il viaggio fino all’ospedale.  
Era più sicuro stare in campagna, ma era davvero frustrante. Da casa potevo fare poco. Ho lavorato in uno studio medico ma non ero a mio agio: prescrivevano medicine in più per guadagnarci loro. Così ho smesso.
L’estate scorsa ho visto un annuncio di lavoro per una posizione all’ospedale di MSF a Taiz. Ho pensato che era quello che dovevo fare! Ci siamo trasferiti di nuovo e ora io e la mia famiglia abitiamo a mezz’ora dall’ospedale. Non importa se qui è più pericoloso, dovevo fare la mia parte.
Un giorno mio padre mi stava venendo a prendere al lavoro quando ho sentito un’esplosione non lontano. Ero molto preoccupata, ma per fortuna è andato tutto bene. Anche lui si era preoccupato, anche se sapeva che ero all’ospedale.
Mi piace molto lavorare nel reparto di terapia intensiva contro la malnutrizione, la maggior parte dei nostri pazienti sono bambini piccoli. Un giorno abbiamo ricoverato una coppia di gemelli, un bambino e una bambina, che a casa non avevano niente da mangiare. All’inizio hanno risposto bene alla terapia e in breve li abbiamo potuti dimettere. Tornavano in ospedale una volta a settimana per un controllo e per prendere il cibo terapeutico. Ma poi la bambina è di nuovo peggiorata e non siamo riusciti a salvarla. Suo fratello è ancora in terapia ma per fortuna è ancora vivo.
In futuro vorrei diventare una pediatra. Voglio aiutare le persone all’inizio della loro vita. Avevo tutti i documenti pronti per andare al Cairo a specializzarmi ma poi non è stato possibile e ora il Ministero della Sanità non ha fondi. Spero di riuscire ad avere una borsa di studio, se ci sarà ancora qualcosa come uno stato”.

Sana, medico di MSF 

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