Sono sopravvissuta all’Ebola per un motivo: aiutare gli altri!

Tutto è iniziato con un forte mal di testa e con la febbre. Poi vomito e diarrea. Entrambi i miei genitori erano malati e così si sono ammalati anche mia nipote, il mio fidanzato e mia sorella. Eravamo tutti molto deboli.

Mio zio è stato il primo a contrarre il virus nella mia famiglia contagiandosi mentre aiutava una donna a raggiungere l’ospedale. Quando si è ammalato, ha chiamato mio padre che l’ha portato subito in ospedale. Qualche giorno dopo però anche mio padre ha iniziato ad avere i primi sintomi ed è così che anche noi figli nel prenderci cura di lui siamo rimasti contagiati.

Il 21 agosto io e tutta la mia famiglia ci siamo recati al centro di trattamento Ebola di MSF a Monrovia. Arrivate all’unità di trattamento, io e mia madre siamo state collocate nella stessa tenda mentre il mio fidanzato, mia sorella, mio padre e mia nipote sono stati portati in altre. Mia sorella era incinta ed ha avuto un aborto spontaneo.

Ci hanno fatto il test e abbiamo aspettato i risultati. Appena ho scoperto di essere positiva all’Ebola, mi è crollato il mondo addosso. Avevo paura perché la gente racconta che i malati di Ebola muoiono. Anche il resto della mia famiglia è risultata positiva al virus. Dopo pochi giorni trascorsi nella zona d’isolamento, ho iniziato a peggiorare. Anche mia madre lottava per la sopravvivenza ed era in pessime condizioni di salute. A quel punto, gli infermieri decidono di spostarmi in un’altra tenda. Ero priva di sensi, incapace di fare qualsiasi cosa. Gli infermieri dovevano lavarmi, cambiarmi i vestiti e darmi da mangiare. Continuavo a vomitare e mi sentivo molto stanca.

Avevo dolori lancinanti in tutto il corpo ed erano così pesanti. L’Ebola sembra una malattia di un altro pianeta per quanto è violenta e dolorosa. Si manifesta con così tanto dolore che lo puoi sentire persino dentro le ossa. Prima di allora, non ho mai provato tanto male in vita mia. Mentre lottavo tra la vita e la morte, i miei genitori sono morti. All’inizio non sapevo che fossero morti, l’ho scoperto dagli infermieri solo una settimana dopo, quando iniziavo a stare meglio. Ero triste per la loro morte ma Dio ha risparmiato la mia vita e quella di mia sorella, mia nipote e del mio fidanzato.

Sebbene addolorata per la morte dei miei genitori, sono felice di essere viva. Dio non avrebbe permesso che un’intera famiglia soccombesse alla malattia. Ci ha fatto vivere per un motivo. Sono molto grata agli operatori MSF del Centro per le loro cure. Sono belle persone e ci tengono davvero ai propri pazienti. La cura, il trattamento così pure l’incoraggiamento sono d’aiuto. Quando sei un malato di Ebola, devi sforzarti di prendere la medicina e bere abbastanza (se si tratta di una soluzione di reidratazione orale come acqua o succo). Non devi mai rimanere a digiuno e anche se non hai appetito, devi mangiare qualcosa, anche solo un po’ di zuppa.

Un giorno, dopo che ne erano passati già 18 nel centro, gli infermieri arrivano a farmi un prelievo per portarlo in laboratorio. Verso le 5 di pomeriggio ritornano e mi danno quella notizia: sarei potuta ritornare a casa perché risultavo negativa al test.

Mi sono sentita rinascere. Sono tornata a casa felice, nonostante avevo appena perso i genitori. I miei vicini di casa, però, avevano ancora paura di me. Alcuni di loro mi hanno accolta ma altri tutt’ora sono timorosi nel starmi vicino perché sono convinti che io abbia ancora l’Ebola. Alcuni hanno soprannominato casa nostra “la casa dell’Ebola”. Un giorno, tuttavia, con grande sorpresa da parte mia, una signora è venuta a chiedermi aiuto per portare sua madre al centro di trattamento perché malata. L’ho aiutata e mi sono sentita sollevata che almeno lei sapesse che l’Ebola non la compri al supermercato. È una malattia che tutte le famiglie possono contrarre. Quando qualcuno si ammala di Ebola, non è corretto stigmatizzarlo anche perché non sai chi sarà il prossimo della fila a contrarre il virus.

Ora sono di nuovo al centro di trattamento Ebola ma questa volta sono qui per aiutare le persone a guarire dal virus. Lavoro come counselor per la salute mentale. Mi dà soddisfazione poter aiutare le persone che soffrono, ecco perché sono qui. Il mio impegno potrebbe aiutare le persone a sopravvivere. Quando sono di turno, rassicuro i miei pazienti, parlo con loro e li incoraggio. Se una persona non vuole mangiare ad esempio, la sprono. Se sono deboli e non riescono a lavarsi, li aiuto. Li aiuto al meglio che posso perché io stessa ho vissuto quella terribile esperienza.

Mi piace il mio nuovo lavoro. Tratto i pazienti come se fossero i miei stessi figli. Racconto loro la mia storia per incoraggiarli e per infondere loro la speranza. Questo è molto importante, credo veramente che aiuti.

Mio fratello più grande e mia sorella sono felici che io lavori qui. Mi supportano al 100%. Sebbene i nostri genitori non siano riusciti a sopravvivere, possiamo aiutare altre persone a guarire.

Salome Karwah,  Counselor MSF per la salute mentale a Monrovia

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