Ester Russo

Ester Russo

Psicologa MSF

“Dentro di me provo soprattutto un profondo senso di ingiustizia”

Ester Russo

Ester Russo

Psicologa MSF
“Dentro di me provo soprattutto un profondo senso di ingiustizia”

Ester Russo, psicologa di MSF,  dal 25 al 27 novembre ha svolto, insieme a due mediatori interculturali, un intervento di supporto psicologico rivolto a 23 superstiti dell’ultimo naufragio, avvenuto lo scorso 23 novembre a un miglio dall’isola di Lampedusa.

Mi sento stremata. Sento che il nostro lavoro è efficace, ma dentro di me provo soprattutto un profondo senso di ingiustizia.

Lascio all’hotspot di Lampedusa persone in condizioni di estrema fragilità. Ho salutato un bambino di appena 5 anni che ha visto sua madre annegare. Ma ancora non sa che ha visto sua madre morire. Il suo corpo non è stato ritrovato, ma è ormai certo che non ce l’ha fatta.

Il padre non riesce a trovare le parole giuste per confessarlo al figlio. Prende tempo, gli ha detto che la mamma è stata respinta in Libia e che presto proverà a raggiungerli. Ma non accadrà mai. Mai.

Questa famiglia, di origine libica, è fuggita dal proprio paese perché la zona in cui vivevano era diventata un teatro di guerra.

“La nostra casa è stata bombardata mentre mio figlio e mia moglie si trovavano all’interno” mi ha raccontato. Dopo quel giorno quest’uomo ha capito che doveva lasciare il suo paese.

Nell’hotspot di Lampedusa tutti i naufraghi si prendono cura di loro. C’è davvero molta solidarietà tra le persone che hanno condiviso la stessa esperienza. Tutti cercano di far ridere il bambino per distrarlo, per allontanare ogni pensiero su questi ultimi tragici giorni.

Questa non è l’unica tragica storia che ci lascia l’ultimo naufragio nel Mediterraneo. Un ragazzo minorenne con gravi problemi alla vista, poiché in Libia è stato detenuto insieme a centinaia di persone per quasi un anno al buio ed ha subito trattamenti inumani e degradanti, non si dà pace. L’unica persona con cui aveva un legame forte e che lo supportava in tutte le sue difficoltà, dal lavarsi al mangiare, è tra le vittime del naufragio.

Non abbiamo nemmeno il tempo di prendere fiato che ci troviamo di fronte a un altro caso che probabilmente avrà bisogno di sostegno psicologico per molto tempo. È la storia di un ragazzo che si è salvato perché sa nuotare, ma intorno a sé ha visto persone soccombere. “Non potevo fare niente, se avessi provato a salvarli sarei morto anche io” mi ha detto. Oggi di notte sente le voci di queste persone che gli chiedono aiuto. Un tormento oggi inconsolabile.

L’elenco tragico di vite spezzate è lungo. Tre adolescenti hanno perso entrambi i genitori mentre due ragazzi giovanissimi non hanno più a loro fianco le loro mogli. Li abbiamo assistiti durante il riconoscimento fotografico dei cadaveri, momenti che sembrano durare giorni.

Nei volti di chi non ce l’ha fatta, il tempo si è fermato catturando espressioni di paura estrema che in tante esperienze di primo soccorso non avevo mai visto.

Uno dei due mariti ci ha poi raccontato di essere già sopravvissuto a un naufragio nel gennaio 2018, quel giorno fu riportato nell’inferno libico dalla Guardia Costiera libica. Anche questo è terribilmente ingiusto.

Tutte queste persone devono lasciare Lampedusa il prima possibile e devono poter essere messe nella condizione di poter ricominciare la loro vita. Altrimenti sommeremmo ingiustizia ad altra ingiustizia.

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