A Gaza definire la situazione disastrosa non è sufficiente. È qualcosa di assolutamente inimmaginabile.
Manca tutto, non c’è posto: non c’è posto per le persone. In quasi 2 milioni sono racchiusi in un fazzoletto di terra e fisicamente non c’è posto per mettere una tenda, dei teli di plastica dove potersi riparare.
Manca tutto il resto. Mancano l’acqua, il cibo, le cose essenziali. I prezzi sono alle stelle quindi quelle poche cose che si riescono a trovare sono inaccessibili per la popolazione locale.
È crollato tutto il sistema di assistenza primaria. Si muore di diarrea, si muore di una semplice bronchite. Non c’è modo di curare tutte queste persone perché mancano gli spazi per poterlo fare, non sappiamo dove poter mettere una clinica perché non troviamo un fazzoletto di terra dove farlo.
Al tempo stesso, il numero di persone in relazione ai pochissimi aiuti che riescono a entrare sono assolutamente improponibili. 100 camion al giorno non possono soddisfare le esigenze di 2 milioni di persone che hanno dovuto lasciare le loro case senza portare via nulla con sè.
Per cui questo è quello che stiamo vedendo in questo momento. Non è immaginabile. Non era prevedibile.
Ospedali evacuati perché troppo pericoloso
Abbiamo deciso di evacuare l’ospedale di al-Aqsa perché la situazione stava diventando troppo pericolosa per il personale che veniva a lavorare. Per due giorni consecutivi i cecchini hanno sparato a medici e infermieri che stavano venendo verso l’ospedale. Fortunatamente nessuno è stato colpito.
Negli stessi giorni un proiettile è arrivato all’interno dell’ospedale, nella terapia intensiva, si è infilato nel muro. Fortunatamente nessuno stava passando in quel momento.
Infine, due giorni fa un ordine di evacuazione è arrivato per l’area di fronte a dove ci trovavamo noi, a 50 metri dall’ospedale. La situazione a questo punto era troppo pericolosa e a malincuore abbiamo dovuto decidere di evacuare l’ospedale interrompendo le attività che stavamo facendo.
Il senso di impotenza
Quello che stiamo vedendo in questo momento è un qualcosa di assolutamente inimmaginabile. Nessuno a priori avrebbe pensato di potersi trovare di fronte a una situazione così.
Una situazione in cui non si permette agli aiuti di arrivare dove c’è bisogno. Le persone qui muoiono anche perché non hanno quegli aiuti che sarebbero tranquillamente disponibili, ma non è permesso l’ingresso.
Direi che la parola che meglio descrive come mi sento in questo momento è “impotente”. Mi sento impotente come si sentono tutti quelli che in questo momento sono qui per cercare di supportare la popolazione.
Non siamo in grado di fare quello che potremmo fare perché la situazione è insicura, perché non c’è lo spazio per poter lavorare e perché gli aiuti che sono necessari non sono disponibili. Sarebbero disponibili, ma si trovano ancora aldilà della frontiera perché non possono entrare. Questo è il rammarico più grande. Si potrebbe aiutare queste persone ma non ci è permesso e questo è estremamente frustrante.