Stefano Di Carlo

Stefano Di Carlo

Direttore Generale MSF

Le vere vittime di un imperdonabile errore

Stefano Di Carlo

Stefano Di Carlo

Direttore Generale MSF
Le vere vittime di un imperdonabile errore

“Non luogo a procedere”.

È questa la sentenza pronunciata dal GUP di Trapani per confermare, dopo sette anni di indagini, quello che a Medici Senza Frontiere abbiamo sempre saputo: che le accuse contro le ONG per favoreggiamento e collaborazione con i trafficanti erano ridicole e infondate e che le argomentazioni degli inquirenti sarebbero state smontate al primo esame indipendente, semplicemente perché costruite su pregiudizi, testimonianze acrobatiche e incredibili distorsioni della realtà.

La decisione di non celebrare alcun processo a Trapani segna un punto di svolta nella criminalizzazione contro le ONG per almeno tre ragioni fondamentali.

Innanzitutto, per le proporzioni di questa inchiesta: trentamila pagine di informative e intercettazioni telefoniche, impiego di agenti sotto copertura e coinvolgimento nelle indagini di 3 organizzazioni e 21 indagati, con oltre 40 sessioni di quella che il Procuratore di Trapani ha definito come “una delle più lunghe e complesse udienze preliminari della storia giudiziale italiana”.

Poi, per motivi temporali: il maxi-procedimento di Trapani è stato il precursore di una lunga sequela di azioni contro le ONG, con indagini che risalgono alla fine del 2016 e che hanno ricevuto vasta attenzione pubblica nelle audizioni parlamentari dell’estate successiva, in concomitanza con le discussioni intorno al famigerato Codice di Condotta per le ONG proposto dal governo italiano.

E infine perché il principale capo di imputazione riguardava la presunta complicità con i trafficanti per realizzare consegne concordate di migranti. Un’accusa odiosa e irricevibile, che la stessa procura ha infine dovuto ritrattare, riconoscendo con ingiustificabile ritardo che tutte le attività in mare erano legittime, pienamente coordinate con la Guardia Costiera e solo finalizzate al soccorso dei naufraghi.

Nel frattempo, un’infame ondata di calunnie è stata riversata contro le ONG, fino a divenire una vera e propria campagna di manipolazione e depistaggio che ha avuto risultati deleteri e concreti: sottrarre consenso popolare alle operazioni di salvataggio in mare; allontanare i soccorritori dalle rotte del Mediterraneo centrale, per dare spazio alla Guardia costiera libica e nella falsa convinzione che questo potesse ridurre le partenze; colpire gli unici attori indipendenti capaci di testimoniare di fronte all’opinione pubblica il completo fallimento delle autorità italiane ed europee, che con la loro inerzia hanno trasformato il mare nostro in una fossa comune.

Sia detto in modo chiaro: noi organizzazioni del soccorso in mare siamo certo state le prime destinatarie di questa strategia di delegittimazione, ma non ne siamo affatto le vittime principali. Perché la graduale ma inesorabile riduzione delle attività di soccorso in mare ha innescato un aumento del numero di morti e dispersi in mare. Nel 2023, più di 6 persone migranti al giorno hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale: una tragedia su cui è purtroppo ormai calato un silenzio impietoso.

Gli effetti di questa macchina del fango sono andati ancora oltre, fino a mettere in discussione alcuni dei pilastri fondamentali su cui si è costruita la nostra civiltà. In primo luogo, l’idea di soccorso, il primato di offrire salvezza, i principi di solidarietà, umanità e mutuo soccorso come basi sacre e imprescindibili del nostro vivere insieme. E poi il senso profondo dell’azione umanitaria, che per essere tale deve essere svolta da organizzazioni indipendenti della società civile.

Per descriverlo, non ho trovato parole più efficacidi quelle pronunciate dall’allora presidente di MSF, James Orbinski, nel discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace nel 1999:

L’umanitarismo si manifesta dove la politica ha fallito o è in crisi. Noi agiamo non per assumerci responsabilità politiche, ma per alleviare la sofferenza disumana di tale fallimento. L’azione deve essere libera da influenze politiche e la politica deve garantire che l’umanitario possa esistere”.

Per questo, abbiamo continuato la nostra azione in mare. Nonostante il continuo boicottaggio da parte di quelle stesse istituzioni che avrebbero per prime la responsabilità di ridurre le morti nel Mediterraneo centrale. È stata la nostra migliore risposta a tutte le accuse. E così facendo, con otto diverse navi, abbiamo contribuito a salvare la vita di oltre 92 mila persone.

L’ordinanza di Trapani è un riconoscimento a questo lavoro e un segnale di speranza per il futuro, ma non è ancora il tempo di celebrare. Ma non è ancora il tempo di celebrare.

Se dopo questa decisione davvero ci auguriamo che non sarà mai più sostenibile in nessun tribunale l’incriminazione del soccorso civile come favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, restano ancora in vigore quegli accordi criminali con paesi terzi che giustificano le politiche di non intervento o le intercettazioni che riportano le persone nei centri di detenzione in Libia, alimentando le loro sofferenze e il lavoro dei trafficanti.

E sono ancora applicate quelle norme che ostacolano l’azione delle ONG in mare e sottopongono sistematicamente le loro navi a ingiustificati fermi amministrativi, spesso motivati dalla mancata collaborazione con la guardia costiera libica, finanziata dalle nostre autorità e responsabile di incidenti che compromettono la sicurezza di soccorritori e naufraghi.

Il quadro è ancora complicato, ma siamo convinti che tutti gli attacchi rivolti ai soccorritori cadranno presto di fronte all’evidenza dei fatti. Sono già numerose le sentenze di tribunali italiani che riconoscono il diritto-dovere al soccorso e contestano la legittimità dei provvedimenti contro le ONG.

E ci sono procure che indagano sulle responsabilità di chi doveva soccorrere e non lo ha fatto. Ne siamo certi, verrà presto il tempo a cui a essere giudicato sarà soprattutto il fallimento dei governi, che in questi anni di ripetuti naufragi hanno scelto di attaccare i soccorritori invece che impedire la strage continua nel Mediterraneo centrale. Noi continueremo a fare la nostra parte, per “alleviare la sofferenza disumana di quel fallimento.

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