Il nostro 2019 in 12 foto

Attimi, catturati dall’obiettivo di una macchina fotografica, che raccontano senza filtri guerre, epidemie e catastrofi naturali avvenuti nel 2019, così come proteste globali per chiedere di abbassare il prezzo dei farmaci salvavita.

Istanti che ritraggono uomini, donne e bambini assistiti dagli operatori umanitari di MSF in oltre 70 paesi, in ospedali o con cliniche mobili, in campi rifugiati o in aree remote del pianeta. È tutto questo la nostra fotogallery 2019 che, partendo dalle storie dei nostri pazienti, accende i riflettori su conflitti cronici e crisi dimenticate.

Nel 2019 abbiamo scattato oltre 8.000 fotografie per raccontare le situazioni di crisi che milioni persone nel mondo si trovano ad affrontare e testimoniare l’azione medico-umanitaria dei nostri operatori sul campo. Queste foto fermano nel tempo attimi di sofferenza, umanità e speranza, e sono il miglior modo per raccontare la realtà dei fatti”. François Dumont Direttore comunicazione di MSF nel 2019

A ottobre attivisti di MSF hanno manifestato in tutto il mondo per chiedere alla Johnson&Johnson di abbassare a 1 dollaro al giorno per paziente il prezzo della bedaquilina, uno dei principali farmaci contro la Tubercolosi, che uccide ogni anno 1,6 milioni di persone. Nella foto le proteste a San paolo in Brasile. Dopo la campagna “Non chiediamo mica la luna”, lanciata nei 20 anni della Campagna per l’Accesso ai Farmaci di MSF, l’azione di protesta insieme a società civile, attivisti ed ex pazienti, continua anche nel 2020.

Una famiglia arrivata sull’isola di Lesbo da 7 giorni. “Dormiamo tutti dentro questa piccola tenda. Ieri è piovuto tutta la notte, ci siamo bagnati completamente” racconta Jawad (nome di fantasia), il padre di questa famiglia. Sulle isole greche è in atto una crisi umanitaria deliberatamente creata dalle politiche di contenimento dell’Europa, che costringono oltre 40.000 persone, tra cui 12.000 bambini, a una vita senza speranza. Il nuovo presidente internazionale di MSF, dr. Christos Christou, ha chiesto ai leader europei di assumersi la responsabilità di fornire assistenza e protezione alle persone bloccate sulle isole greche e porre fine alle politiche di contenimento per evitare sofferenze non necessarie.

Un neonato di soli sei giorni dorme in una culla improvvisata a bordo della Ocean Viking, gestita da MSF in collaborazione con SOS MEDITERRANEE. È stato salvato nel Mediterraneo centrale quando aveva quattro giorni di vita insieme a sua madre e suo fratello più grande. Purtroppo, non tutti riescono ad essere salvati, sono almeno 15.000 mila le persone che hanno perso la vita nelle traversate del Mediterraneo dal 2014, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite.

Ana teme per il futuro: “Quanto ancora dovremo rimanere così? Forse fino a quando un gruppo armato non prevarrà sugli altri. Noi vogliamo solo un futuro per i nostri figli e nipoti”. Rapimenti, estorsioni, violenze sessuali sono i principali pericoli subiti ogni giorno dalle persone bloccate in Messico in attesa che la loro richiesta di asilo venga esaminata. I protocolli statunitensi sulla migrazione, in vigore dallo scorso gennaio, impongono a queste persone di restare in Messico durante l’elaborazione delle loro richieste, costringendole di fatto in campi improvvisati dove sono esposte alla violenza dei gruppi criminali. Dal 2012, MSF fornisce cure mediche e assistenza psicologica ai migranti, provenienti per lo più da Honduras, Guatemala e El Salvador, lungo la rotta migratoria in Messico.

Donne e bambini, sfollati dalle violenze tra diverse comunità nella provincia di Ituri, si radunano tra le tende nel campo profughi di Bunia. In quest’area della Repubblica Democratica del Congo, dove MSF svolge uno dei suoi principali interventi per numero di visite mediche e fondi impiegati, è in corso una crisi senza precedenti e gli sfollamenti di massa tra la popolazione a causa delle violenze si sommano a due gravissime epidemie: quella di Ebola, che finora ha già fatto oltre 2.000 vittime, e quella di morbillo, ritenuta la più grave e diffusa nel paese degli ultimi anni.

Dopo che a un abitante del villaggio di Ndiovu, in Nigeria, è stata diagnosticata la febbre di Lassa, un’équipe di MSF si è recata sul posto per disinfettare la casa del paziente.
MSF, attiva in Nigeria dal 1996, fornisce in particolare assistenza medica in Nigeria nord-orientale dove a distanza di un decennio il conflitto tra gruppi armati e l’esercito nigeriano è tutt’altro che finito. Le persone continuano ad essere costrette a lasciare le proprie case a causa della violenza e molte famiglie sfollate vivono ora in campi gestiti dalle autorità statali o allestiti informalmente a fianco delle comunità locali. La maggior parte degli sfollati sono donne e bambini che dipendono perlopiù dall’assistenza umanitaria per sopravvivere. Si stima che siano 1,8 milioni le persone sfollate negli stati nord-orientali di Borno, Adamawa e Yobe.

Ahmed, palestinese, ha 38 anni ed è stato ferito durante gli scontri con l’esercito israeliano nel maggio 2018. Il bilancio medico, umano ed economico di queste rivolte è diventato insostenibile e migliaia di persone dovranno affrontare ferite devastanti e invalidanti – principalmente alle gambe – per il resto della loro vita. Nonostante gli sforzi dei pochi attori presenti, i bisogni eccedono di gran lunga la capacità disponibile e molti feriti aspettano a lungo, con sempre meno speranza, di ricevere cure per le loro lesioni. Nelle cliniche post-operatorie di MSF a Gaza vediamo infezioni croniche causate da batteri resistenti agli antibiotici che complicano ulteriormente il difficile percorso di guarigione.

La città di Buzi vista dall’alto dopo le devastazioni provocate dal ciclone Idai, nel mese di marzo. Fin dai primi giorni dell’emergenza, MSF ha avviato una risposta massiva nell’area, allestendo 3 centri di trattamento per il colera, fornendo supporto logistico, tecnico e gestionale al Ministero della Salute per campagne di vaccinazione di massa a Beira, Dondo, Nhamatanda e Buzi e installando punti di distribuzione di acqua pulita, per prevenire la diffusione di epidemie. Nel complesso MSF ha inviato più di 100 tonnellate di forniture mediche e logistiche.

In Italia oltre 10.000 migranti, richiedenti asilo e rifugiati vivono in condizioni di marginalità al di fuori del sistema di accoglienza, e le cose rischiano di peggiorare. A seguito del monitoraggio “Fuori Campo” condotto da MSF negli ultimi quattro anni sugli insediamenti informali in Italia, MSF ha avviato un progetto a Torino, nelle palazzine dell’Ex-MOI, in collaborazione con la ASL Città di Torino, per favorire l’accesso di rifugiati e migranti al servizio sanitario nazionale, superando le barriere linguistiche e amministrative. Nella foto, un ex residente dell’Ex-MOI.

Un bambino è seduto vicino a dei missili disinnescati nel distretto di Mawza, nel governatorato di Taiz, un’area rurale molto povera. L’ospedale di MSF a Mocha, che dista 45 minuti di macchina, cura i pazienti di guerra e feriti dalle mine, un terzo dei quali sono bambini. Per impedire l’avanzata delle truppe di terra sostenute dalla coalizione guidata dall’Arabia saudita e dagli Emirati contro le truppe di Ansar Allah, nel sud-ovest dello Yemen sono state sparse migliaia di mine e ordigni esplosivi improvvisati sulle strade e nei campi, che metteranno in pericolo la vita delle persone per decenni.

Una madre tiene in braccio suo figlio nel reparto dell’ospedale pediatrico di El Fasher, nel Darfur del Nord, che ospita i pazienti affetti da malaria. Nel 2018 le équipe di MSF hanno trattato 15.000 pazienti per malaria e vaccinato oltre 312.000 bambini.
In Sudan, dove MSF è attiva nel paese dal 1979, ci sono attualmente 2 milioni di sfollati interni e 850.000 rifugiati sud sudanesi.

Karam Laccha ha sopportato il dolore per una settimana fino a che non riusciva più a urinare. Sua moglie e suo figlio hanno camminato con lui per 10 km per farlo visitare. Il Dr. Vishwas Reddy di MSF si è accorto subito che le sue condizioni sono gravi. La sua pressione sanguigna era altissima, la sua vescica era in tensione e il suo respiro irregolare. Con la diagnosi di una sospetta malattia renale cronica, il paziente è stato inviato all’ospedale di Bhadrachalma, a due ore di distanza, per ricevere le cure di cui ha bisogno.

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