Coronavirus Afghanistan: aperto un centro di trattamento a Herat

Coronavirus Afghanistan: aperto un centro di trattamento a Herat

Abbiamo aperto un centro di trattamento per il Covid-19 nella provincia di Herat, la seconda più colpita dall’epidemia dopo Kabul.

La struttura, situata all’interno del Gazer Ga Hospital, conta 32 posti letto e si prende cura dei casi più gravi che necessitano di ossigenoterapia, alleviando così il carico sugli altri due centri esistenti, Shaidayee e Liberty Hospitals, ancora affollati di pazienti.

Abbiamo aperto questo centro di trattamento per assistere i malati più gravi e supportare l’intervento del ministero della salute nella gestione dei casi Covid-19. Dopo 40 anni ininterrotti di conflitto, questa epidemia sta ulteriormente aggravando una situazione già catastrofica”. Claire San Filippo Coordinatore di MSF a Herat

Dal primo caso di Covid-19 in Afghanistan confermato ad Herat a fine febbraio, il numero dei contagi è aumentato ininterrottamente. All’inizio della pandemia, un numero molto elevato di afgani – più di 159.000 solo nel mese di marzo secondo l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (OIM) – sono rientrati dall’Iran, un paese fortemente colpito dalla pandemia.

Per questo, Herat, usata da molti afghani come area di passaggio in direzione delle diverse province, era diventato il primo epicentro dell’epidemia nel paese ed è attualmente la seconda area più colpita con quasi 4.500 casi confermati il ​​22 giugno.

Tuttavia, questi numeri non forniscono un quadro completo della situazione generale. I casi di Covid-19 a Herat, così come in tutto il paese, restano in gran parte sottostimati a causa della mancanza di test diagnostici, come dimostrano i soli 64.585 esami effettuati su un totale di oltre 37 milioni di abitanti.

Il numero di casi gravi all’ospedale Shaydahee di Herat è aumentato da 50 all’inizio di maggio a 125 all’inizio di giugno. Al triage dell’ospedale regionale di Herat, su circa un centinaio di pazienti visitati al giorno, da 5 a 10 presentano condizioni gravi o critiche. Sembra, dunque, che il livello reale di trasmissione della malattia all’interno della comunità sia chiaramente sottovalutato.

All’inizio dell’epidemia, le nostre équipe a Herat avevano iniziato a implementare misure di prevenzione e controllo delle infezioni in alcune strutture sanitarie, in una clinica per gli sfollati alla periferia della città e nel centro di alimentazione terapeutica presso l’ospedale regionale.

Ad aprile, i team hanno anche organizzato il triage nella clinica per gli sfollati e nell’ospedale regionale per garantire la diagnosi precoce dei casi e creare un sistema efficace volto al trasferimento dei casi sospetti in strutture sanitarie adeguate.

A quattro mesi dalla segnalazione del primo caso, la prevenzione della diffusione del virus rimane problematica. Famiglie numerose, alloggi sovraffollati e con scarso accesso all’acqua, alti livelli di interazioni sociali e povertà rendono quasi impossibile il lavaggio regolare delle mani, l’isolamento domiciliare e il distanziamento sociale.

Alcune persone con sintomi correlati a Covid-19 continuano a non ricercare l’assistenza medica necessaria, anche per il timore che i rituali di sepoltura possano non venire rispettati in caso di morte durante i trattamenti.

Per i pazienti non Covid-19, la situazione si fa sempre più difficile a causa dell’elevato numero di personale sanitario contagiato. Da metà maggio, un alto numero di bambini malnutriti è stato ammesso nel nostro centro di alimentazione terapeutica dove si sta facendo di tutto per mantenere la piena capacità di posti letto nonostante i contagi tra il personale.

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