Mirella Riccardi

Mirella Riccardi

Psicologa MSF

Frammenti di vita umanitaria

Mirella Riccardi

Mirella Riccardi

Psicologa MSF
Frammenti di vita umanitaria

Non sono in missione in questo momento. Ripartirò prossimamente. Eppure la vita con MSF non conosce vere interruzioni. Scorre dentro. Trova nuovi spazi. Si rinnova.

Tra i margini di un ritorno e una nuova partenza riaffiorano sentimenti, memorie, riflessioni. Continuano gli scambi, i dialoghi, gli incontri. Nuove idee si aprono.

In questi giorni porto con me il brusio dell’ultima missione, i ricordi di quella precedente, le tracce di quelle prima ancora. Restano, ovunque, i legami con i colleghi.

Yemen

La chiamata di Noora* mi riporta in un attimo in Yemen. La mia collega yemenita mi racconta dell’ospedale e del dipartimento di salute mentale in cui abbiamo accolto storie e ferite di donne, bambini, famiglie, mi racconta di quanto il team MSF continui a lavorare quotidianamente e incessantemente per lenire il dolore che la guerra porta ancora e ancora. Noi sogniamo e aspettiamo insieme la fine della guerra. Desideriamo rivederci. Chissà quando e dove! Pazientiamo. Per ora ci siamo, a distanza, in luoghi profondamente diversi, con origini, fedi e culture differenti!

MSF è presente a nord e sud dello Yemen, tagliato in due dalla guerra. L’imparzialità dell’azione umanitaria ci permette di poter lavorare là dove nessuno arriva. È ciò che ci consente l’incontro con la popolazione. Di stare in “pezzi” diversi di un medesimo luogo. E in questi pezzi sospendere il giudizio e realizzare la cura. Un po’ come in psicoterapia mi vien da dire!

Essere imparziali tuttavia non vuol dire non vedere. Noi vediamo e testimoniano il dolore e la bellezza delle terre e delle persone che incontriamo. Siamo testimoni dei bisogni umani dimenticati. Dei bisogni umani non ascoltati. Non di rado schiacciati da logiche geopolitiche più pesanti.

Haiti

Un messaggio di Constance* mi riporta ad Haiti, luogo della mia ultima missione. Con la collega parliamo di noi ma anche di Port au Prince, principale città dell’isola dove MSF lavora. Città che diventa di giorno in giorno più feroce. Una città fatta di paura e violenza.

Di gente che scappa, che soffre, che perde case e legami in una notte. La guerriglia urbana massacra senza tregua. Non risparmia nessuno. Ancora e sempre di più si fa cruenta. Ricordo il lavoro di apertura del dipartimento di salute mentale. Quanto dolore da ascoltare, quante vicende comunicate solo con il silenzio, il pianto, la rabbia, i mille dolori fisici. Quanto peso dietro la musica ovunque suonata. Quanta umanità sprovvista e bisognosa di presenza, cura, attenzione. Quanti quartieri attraversati, tra i loro equilibri instabili, con le nostre cliniche mobili, per giungere là dove nessuno osa entrare.

Sentire la fiducia verso MSF e la fatica di non poter esserci o fare abbastanza. In quella città, dove tutto viene distrutto, sperare in qualcosa d’altro è un lusso raro. Lo sappiamo noi operatori in missione e lo sanno ancora di più i colleghi che vivono e lavorano quotidianamente lì. Sentono sottopelle la paura di andare e tornare dal lavoro. Ci vuole tanto coraggio a lavorare in quel luogo dove il pericolo di pallottole vaganti, violenza e sequestri sono più che quotidiani. Profonda stima per i colleghi haitiani. Stanchi ma audaci.

Repubblica Democratica del Congo

Nella casella della posta, vedo una mail della mia collega tedesca Anna*. Mi dice che ritornerà di nuovo in Repubblica Democratica del Congo, lì dove ci siamo conosciute anni fa. Nel paese MSF ha tanti progetti per le diverse necessità di una popolazione che vive in quella terra tanto bella quanto terribile. Dalla malaria all’ebola, all’HIV, alle guerriglie, alle violenze sessuali diffuse e mostruosamente “di routine”, alla malnutrizione, al colera. Sempre e ancora quel luogo patisce. E allora si progetta, si resta, si riprogetta e si lavora finché si può.

L’umano che cura il disumano

Esplorare, ascoltare, creare, curare. Progettare, cambiare, modificare. Divergenze, fatica, nuovi accordi. Concentrazione e concertazione. Sorrisi e danze a fine giornata in quelle dimore da cui spesso non possiamo uscire liberamente. Ecco una giornata qualsiasi in missione.

Storie e legami, di persone, popoli e terre. Vivere tra le frontiere. Vivere di incontri e dialogo. Navigare in quell’intermezzo in cui abitano l’identità e l’alterità. Questa la mia vita umanitaria con MSF.

Incontrare l’orrore del mondo e sobbalzare per la meraviglia del mondo stesso. Sospendere il giudizio. Entrare in punta di piedi nelle vite altrui, stare semplicemente accanto ai pazienti. La cura psicologica prende una forma diversa in missione.

Il setting si apre, fisicamente, all’incerto e all’imprevedibile, si incontrano i pazienti nei diversi angoli degli ospedali oppure sotto gli alberi di una foresta o ancora sotto una tenda costruita ad hoc per offrire uno spazio sicuro. L’ascolto si fa lieve e denso. Si sa che quando il dolore psichico è troppo forte diventa spesso indicibile, inenarrabile. Eppure, se rimaniamo lì, presenti, se lasciamo che una parte della sofferenza dell’altro ci venga messa addosso possiamo fare spazio a qualcosa di nuovamente pensabile, fare spazio – nel legame – a qualcosa di nuovamente umano.

Perché, in fondo, l’umano può curare il disumano che sentiamo dentro e incontriamo intorno. E questo lavoro con MSF, malgrado ciò che incontriamo, resta ricco di speranze gettate, cure da offrire, incontri da vivere.

*I nomi sono stati modificati.

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